L’arte del celebrare. Alcuni spunti offerti dalla Lettera Apostolica «Desiderio Desideravi»

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di Francesco Romano • Papa Francesco scrive nella Lettera Apostolica “Desiderio desideravi”, pubblicata il 29 giugno 2022, che sarebbe banale leggere le tensioni, purtroppo presenti attorno alla celebrazione, come una semplice divergenza tra diverse sensibilità nei confronti di una forma rituale. La problematica è anzitutto ecclesiologica. Dietro gli scontri sul rito si celano diverse concezioni della Chiesa. Non si può dire, precisa il Pontefice, di riconoscere la validità del Concilio e non accogliere la riforma liturgica nata dalla “Sacrosanctum Concilium”. Il Papa invita a ritornare alle costituzioni conciliari per recuperare la capacità di vivere in pienezza l’azione liturgica e superare l’individualismo, il soggettivismo e lo spiritualismo astratto.

Dunque, Papa Francesco, dopo il motu proprio “Traditionis custodes”, pubblica la Lettera Apostolica “Desiderio desideravi”, con cui rielabora i risultati della plenaria del Dicastero del Culto Divino del febbraio 2019 ribadendo l’importanza della comunione ecclesiale attorno al rito scaturito dalla riforma liturgica post-conciliare.

Il Papa nel ricordare la costituzione “Sacrosanctum Concilium” che ha portato alla riscoperta della comprensione teologica della liturgia, evidenzia: “Vorrei che la bellezza del celebrare cristiano e delle sue necessarie conseguenze nella vita della Chiesa, non venisse deturpata da una superficiale e riduttiva comprensione del suo valore o, ancor peggio, da una sua strumentalizzazione a servizio di una qualche visione ideologica, qualunque essa sia”.

Sottolinea il Papa che la liturgia ci garantisce la possibilità di incontrare il Signore. A noi non serve un vago ricordo dell’ultima Cena, ma abbiamo bisogno di essere presenti a quella Cena, “la liturgia non ha nulla a che vedere con un moralismo ascetico: è il dono della Pasqua del Signore che, accolto con docilità, fa nuova la nostra vita. Non si entra nel Cenacolo se non che per la forza di attrazione del suo desiderio di mangiare la Pasqua con noi”.

Il Papa spiega che ogni aspetto della celebrazione va curato (spazio, tempo, gesti, parole, oggetti, vesti, canto, musica) e ogni rubrica deve essere osservata. Basterebbe questa attenzione per evitare di derubare l’assemblea di ciò che le è dovuto, vale a dire il mistero pasquale celebrato nella modalità rituale che la Chiesa stabilisce. Anche se la qualità e la norma dell’azione celebrativa fossero garantite, ciò non sarebbe sufficiente per rendere piena la nostra partecipazione. Per il Papa “senza lo stupore per il mistero pasquale presente nella concretezza dei segni sacramentali, potremmo davvero rischiare di essere impermeabili all’oceano di grazia che inonda ogni celebrazione”.

Questo stupore, chiarisce il Papa, non ha nulla a che vedere “con la fumosa espressione ‘senso del mistero’: a volte tra i presunti capi di imputazione contro la riforma liturgica vi è anche quello di averlo – si dice – eliminato dalla celebrazione”. Lo stupore di cui parla il Papa non è una specie di smarrimento di fronte ad una realtà oscura o ad un rito enigmatico, ma è, “al contrario, la meraviglia per il fatto che il piano salvifico di Dio ci è stato rivelato nella Pasqua di Gesù”.

Non c’è aspetto della vita ecclesiale che non trovi nell’Eucaristia il suo culmine e la sua fonte. Il fondamento della comunione è mettere al centro della vita della comunità la celebrazione eucaristica domenicale. La liturgia non permette in nessun modo di intendere queste parole come se tutto si riducesse all’aspetto cultuale. “Una celebrazione che non evangelizza non è autentica, come non lo è un annuncio che non porta all’incontro con il Risorto nella celebrazione: entrambi, poi, senza la testimonianza della carità, sono come bronzo che rimbomba o come cimbalo che strepita”.

Francesco insiste sull’importanza della formazione liturgica che senza di essa “le riforme nel rito e nel testo non aiutano molto”. Per questo, altro punto importante per Francesco, è di educare alla comprensione dei simboli e il modo di farlo “è certamente quello di curare l’arte del celebrare”, che “non può essere ridotta alla sola osservanza di un apparato rubricale e non può nemmeno essere pensata come una fantasiosa – a volte selvaggia – creatività senza regole. Il rito è per se stesso norma e la norma non è mai fine a se stessa, ma sempre a servizio della realtà più alta che vuole custodire”.

L’arte del celebrare non si impara frequentando un corso, occorre “una diligente dedizione alla celebrazione lasciando che sia la celebrazione stessa a trasmetterci la sua arte”. E “tra i gesti rituali che appartengono a tutta l’assemblea occupa un posto di assoluta importanza il silenzio”, che “muove al pentimento e al desiderio di conversione; suscita l’ascolto della Parola e la preghiera; dispone all’adorazione del Corpo e del Sangue di Cristo”.

L’intenzione del Papa con la pubblicazione della Lettera apostolica “Desiderio desideravi” è di superare l’estetismo della formalità liturgica, ma anche la sciatteria delle celebrazioni e riscoprire il significato profondo della celebrazione eucaristica che è emerso dal Concilio. Il Papa non vuole dare nuove norme, ma aiutare a scoprire la centralità e la bellezza della celebrazione liturgica nella vita della Chiesa e nell’evangelizzazione.

Il richiamo conclusivo del Papa “a tutti i vescovi, ai presbiteri e ai diaconi, ai formatori dei seminari, agli insegnanti delle facoltà teologiche e delle scuole di teologia, a tutti i catechisti e le catechiste” è di aiutare il popolo santo di Dio ad attingere a quella che da sempre è la fonte prima della spiritualità cristiana.

Quanto stabilito in “Traditionis custodes”, viene ribadito in questa Lettera perché “la Chiesa possa elevare, nella varietà delle lingue, una sola e identica preghiera capace di esprimere la sua unità” e questa unica preghiera è il Rito Romano scaturito dalla riforma conciliare e stabilito dai santi pontefici Paolo VI e Giovanni Paolo II: “I santi Pontefici Paolo VI e Giovanni Paolo II approvando i libri liturgici riformati ex decreto Sacrosancti Œcumenici Concilii Vaticani II hanno garantito la fedeltà della riforma al Concilio. Per questo motivo ho scritto Traditionis Custodes, perché la Chiesa possa elevare, nella varietà delle lingue, una sola e identica preghiera capace di esprimere la sua unità. Questa unità, come già ho scritto, intendo che sia ristabilita in tutta la Chiesa di Rito Romano”.

La conclusione del Papa è inscritta in una sintesi più che eloquente: “abbandoniamo le polemiche per ascoltare insieme che cosa lo Spirito dice alla Chiesa, custodiamo la comunione, continuiamo a stupirci per la bellezza della Liturgia. Ci è stata donata la Pasqua, lasciamoci custodire dal desiderio che il Signore continua ad avere di poterla mangiare con noi. Sotto lo sguardo di Maria, Madre della Chiesa”.

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Francesco Romano

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