di Francesco Romano • L’11 febbraio 2022 nella memoria della B. V. Maria di Lourdes e nel suo VIII anno di pontificato, Papa Francesco pubblica due Lettere Apostoliche in forma di motu proprio “Fidem servare” e “Assegnare alcune competenze” (Competentias quasdam decernere) entrate rispettivamente in vigore il 14 e 15 dello stesso mese.
L’ultimo motu proprio di Papa Francesco era stato “Traditionis Custodes” pubblicato il 16 luglio 2021, il trentacinquesimo dalla sua salita al soglio di Pietro. Con questi ultimi due, pubblicati nello stesso giorno, si sale a trentasette. Pur comprensibilmente avvalendosi dell’ausilio di persone competenti a disposizione del suo servizio apostolico, vale la pena ricordare che la forma del “motu proprio” è esclusiva e personale decisione del Pontefice senza riferimento a istanze provenienti dai dicasteri della Curia Romana.
In questo modo Papa Francesco si sta rivelando un grande legislatore che va riformando passo dopo passo l’ordinamento canonico, intervenendo su istituti giuridici del Codice di Diritto Canonico, abrogando o derogando qua e là, ma anche con interventi più corposi come il processo matrimoniale canonico promulgato il 15 agosto 2015 con il m.p. “Mitis Iudex Dominus Iesus” e la riforma del VI Libro del Codice di Diritto Canonico relativo al diritto penale con la Costituzione “Pascite gregem Dei” del 23 maggio 2021.
Questa modalità progressiva di riformare gli strumenti della giustizia risponde al criterio di seguire con sguardo attento le esigenze ecclesiali e sociali più emergenti che chiedono di trovare di volta in volta un rinnovato ordine secondo l’antico assioma “ubi societas ibi ius”, e non viceversa.
La Lettera Apostolica “Fidem servare” reca come sottotitolo la specificazione “con la quale viene modificata la struttura interna della Congregazione per la Dottrina della Fede” da rendere immediatamente chiaro il suo oggetto. Un documento molto breve, ma l’importanza della sua finalità è possibile intravederla già dal titolo.
Si parte comunque premettendo che compito principale e criterio ultimo da seguire nella vita della Chiesa di cui si fa carico la Congregazione per la Dottrina della Fede (CDF) è “Custodire la fede assumendo competenze dottrinali e disciplinari. San Paolo VI mutò l’appellativo del Dicastero da “Sacra Congregazione del Sant’Uffizio” in “Sacra Congregazione per la Dottrina della Fede” con il m.p. “Integrae servandae”, mentre San Giovanni Paolo II ne precisò le competenze nella Costituzione Apostolica “Pastor Bonus”. Il nome del Dicastero divenne più semplicemente “Congregazione per la Dottrina della Fede”.
Con il m.p. “Fidem servare” viene data alla CDF un’impostazione più adatta alle funzioni che le sono proprie con l’istituzione di due sezioni distinte per competenze dottrinali e disciplinari, assegnando a ciascuna un Segretario. In questo modo la sezione dottrinale trova la giusta importanza per il suo fondamentale ruolo di promozione della fede, oltre a portare avanti anche l’attività disciplinare.
La sezione dottrinale, come è noto, si occupa di promuovere e tutelare la dottrina circa la fede e la morale predisponendo l’esame dei documenti che devono essere pubblicati da altri Dicasteri della Curia Romana, nonché degli scritti e opinioni problematici per la retta fede. La sezione dottrinale si occupa anche di aprire un dialogo con gli autori di questi scritti per proporre i rimedi da apportare secondo quanto previsto dalla “agendi ratio in doctrinarum examine”.
Alla sezione dottrinale è affidato anche il compito di studiare le questioni che rientrano nella Costituzione apostolica “Anglicanorum coetus” circa gli ordinariati personali istituiti per gli anglicani che chiedono di entrare nella piena comunione con la Chiesa Cattolica.
L’ufficio matrimoniale della sezione si occupa anche del privilegium fidei per lo scioglimento del vincolo del matrimonio in favorem fidei e di altri suoi aspetti legati alla validità del Sacramento.
“Fidem servare” al n. 2 introduce questa novità: “Essa, inoltre, favorisce gli studi volti a far crescere l’intelligenza e la trasmissione della fede al servizio dell’evangelizzazione, perché la sua luce sia criterio per comprendere il significato dell’esistenza, soprattutto di fronte alle domande poste dal progredire delle scienze e dallo sviluppo della società”. La CDF segue la riflessione teologica per favorire la crescita dell’intelligenza della fede, la sua trasmissione e la comprensione del significato dell’esistenza nel confrontarsi con il progresso scientifico e lo sviluppo della società.
La sezione disciplinare – nelle diverse istanze di Prefetto, Segretario, Promotore di Giustizia, Congresso, Sessione Ordinaria, Collegio per l’esame dei ricorsi – si occupa di promuovere la retta amministrazione della giustizia nel caso di delitti il cui giudizio è riservato alla CDF come per esempio i “delicta graviora”.
Anche per la Sezione disciplinare è prevista una offerta di formazione agli Ordinari e agli operatori del diritto.
La comunione nella Chiesa è in stretta connessione con la sua struttura gerarchica ed è dinamica per sua natura perché la coinvolge integralmente cioè in ogni sua singola parte, sia prossima che distale, da considerare il decentramento un valore e non una dispersione, un segno della sua universalità.
Su questo principio si fonda il cambiamento di alcune norme del Codice di Diritto Canonico introdotto dal motu proprio “Assegnare alcune competenze” in modo da estendere alcune prerogative esclusive dei Dicasteri della Santa Sede alla potestà esecutiva delle Chiese e delle istituzioni ecclesiali locali e garantire l’unità della disciplina della Chiesa universale.
L’intento del Pontefice nell’operare questo decentramento attraverso le modifiche normative è di favorire il senso della collegialità e della responsabilità pastorale dei Vescovi e dei Superiori maggiori in cui si inserisce il ministero del Vescovo di Roma che assicura l’unità nella “universalità condivisa e plurale della Chiesa”.
Questa opera di decentramento trova la sua più evidente applicazione in alcune deroghe introdotte dal motu proprio nel Codice di Diritto Canonico:
– nell’erigere un seminario interdiocesano per il quale, in deroga al can. 237 §2, non è più richiesta l’approvazione bensì la sola conferma della Santa Sede (cf Art. 1);
– anche la Ratio di formazione sacerdotale nazionale in deroga al can. 242 §1 è confermata e non approvata dalla Santa Sede (cf Art 2);
– in deroga al can. 265 viene estesa alle associazioni pubbliche clericali, che ne abbiano ottenuto facoltà dalla Sede Apostolica, la capacità di incardinare i chierici (cf Art. 3);
– al can. 604 viene aggiunto il §3 per il riconoscimento e l’erezione di associazioni dell’ordine delle vergini di competenza del Vescovo diocesano nell’ambito del suo territorio, e della Conferenza Episcopale al livello nazionale (cf Art. 4);
– in deroga al can. 686 §1 viene estesa da tre a cinque anni la facoltà del Moderatore supremo con il consenso del suo consiglio di concedere l’indulto di esclaustrazione a un professo perpetuo. Una proroga dell’indulto, o una concessione superiore a cinque anni, resta di esclusiva competenza della Santa Sede o del Vescovo diocesano se si tratta di istituti di diritto diocesano (cf Art. 5);
– l’Art. 6 introduce una deroga al can. 688 §2 di conseguenza:
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l’indulto di lasciare l’istituto concesso dal Moderatore supremo con il consenso del suo consiglio a un professo temporaneo di un istituto di diritto diocesano non richiede più la conferma del Vescovo diocesano della casa di assegnazione;
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resta invariato quanto riferito ai monasteri sui iuris di cui al can. 615 nei quali l’indulto di lasciare il monastero durante la professione temporanea continua a dover essere confermato dal Vescovo della diocesi dove si trova la casa di assegnazione;
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resta invariato quanto si riferisce all’indulto di lasciare l’istituto per i professi temporanei appartenenti agli istituti religiosi di diritto pontificio e ai monasteri sui iuris di cui al can. 614 la cui competenza continua a essere del Moderatore supremo con il consenso del suo consiglio.
– l’Art. 7 introduce due deroghe:
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la prima riguarda il can. 699 §2 per cui nei monasteri sui iuris, di cui al can. 615, il decreto di dimissione compete al Superiore maggiore con il consenso del suo consiglio, mentre decade la competenza del Vescovo diocesano riguardo alla decisione della dimissione. A mio avviso sarebbe stato più coerente con la norma di cui al can. 699 §1, considerato il testo e il contesto, che anche in questo caso la decisione del Superiore maggiore, che richiede il consenso del suo consiglio, fosse stata ugualmente raggiunta in modo collegiale, per di più non essendo più previsto l’intervento del Vescovo diocesano;
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la seconda deroga riguarda il can. 700 per cui il decreto di dimissione di un professo – senza distinzione tra istituti di diritto pontificio, di diritto diocesano o di monasteri sui iuris, di cui al can. 614 – deciso collegialmente dal Moderatore supremo con il suo consiglio di cui al can. 699 §1, entra in vigore nel momento in cui viene notificato all’interessato. Decade la necessità della previa conferma della Santa Sede. è fatta salva la possibilità di inoltrare il ricorso all’autorità competente entro dieci giorni.
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Resta una legittima perplessità riguardo al venire meno del passaggio del decreto di dimissione dalla Santa Sede per la conferma. Sappiamo che la procedura richiede vera competenza ed esperienza, non per ultimo nell’assicurare quanto riguarda all’esercizio del diritto di difesa, ma anche il giusto distanziamento o neutralità da parte di chi è chiamato a giudicare la dimissione di un membro dal proprio istituto rimanendo nel contempo del tutto estraneo da vicende e implicazioni interne a esso. È ovvio che permane il diritto del religioso dimesso di interporre ricorso, ma quanti sono in grado di esercitarlo o di sapere a chi rivolgersi, anche per l’esiguo termine perentorio di dieci giorni?
– l’Art. 8 deroga al can. 775 §2 per cui non è più richiesta l’approvazione, bensì solo la conferma della Santa Sede per la pubblicazione dei catechismi da parte della Conferenza Episcopale;
– l’Art. 9 deroga al can. 1308 §1 per cui la riduzione degli oneri delle Messe non è più riservata alla Santa Sede, ma da ora spetta al Vescovo diocesano e al Moderatore supremo di un istituto di vita consacrata o di una società di vita apostolica clericali. Tale competenza del Vescovo diocesano non è più soggetta alla condizione che ciò sia espressamente stabilito nelle tavole di fondazione, pertanto il §2 decade e i successivi paragrafi del can. 1308 prendono il posto di quello che lo precedeva;
– l’Art. 10 deroga al can. 1310 §1 fa decadere l’espressa volontà del fondatore di cause pie come condizione per permettere all’Ordinario la riduzione, il contenimento e la permuta delle volontà dei fedeli a favore di cause pie. Si richiede invece che siano uditi gli interessati, il consiglio degli affari economici e rispettata nel miglior modo possibile la volontà del fondatore.
L’estensione di alcune competenze alla potestà esecutiva delle Chiese locali e delle istituzioni ecclesiali locali non è una menomazione dell’unità della disciplina della Chiesa universale che per volontà del suo divin Fondatore ha una costituzione gerarchica nel senso ben espresso dalla Costituzione conciliare “Lumen gentium”.
Tutto il sistema giuridico della Chiesa è informato alla communio Ecclesiae et Ecclesiarum quale principio strutturale che dà vita alla socialità ecclesiale in cui diventano giuridicamente vincolanti le relazioni strutturali e quelle personali che presiedono all’esercizio del governo.
Si deve proprio a questa struttura gerarchica l’effetto dinamico che unisce nella comunione l’intero Corpo mistico che nella sua compagine visibile deve al ministero del Vescovo di Roma la garanzia dell’unità. In questo senso le due Lettere Apostoliche “Fidem servare” e “Assegnare alcune competenze”, anche in ragione della stessa data di pubblicazione, sono riconosciute tra loro accomunate.