Ecclesialità della vita consacrata e sua collocazione tra gli stati di vita del Popolo di Dio
di Francesco Romano • La traduzione in norme della dottrina conciliare sugli stati di vita nella Chiesa, sulla loro identità, vocazione e missione, è stato un problema che fin da subito si è rivelato non facile alla Commissione di Revisione del Codice Pio-Benedettino, che come è noto è stato il primo Codice di Diritto Canonico promulgato nel 1917.
Un riflesso di questa difficoltà è presente nel can. 207 del vigente CIC del 1983 dove la bipartizione del Popolo di Dio in “duo genera christianorum” relega la vita consacrata presa nel suo insieme in una condizione di ambiguità, non meglio identificata nella sua condizione di status, mentre la Costituzione Dogmatica sulla Chiesa Lumen Gentium stabilisce la tripartizione degli stati all’interno del Popolo di Dio dove con il nome di laici si intende “l’insieme dei cristiani ad esclusione dei membri dell’ordine sacro e dello stato religioso. […]. Il carattere secolare è proprio e peculiare dei laici […] mentre i religiosi con il loro stato testimoniano in modo splendido ed esimio che il mondo non può essere trasfigurato e offerto a Dio senza lo spirito delle beatitudini” (LG, 31).
Ne consegue che lo stato di vita dei religiosi è dunque costituito dalla professione dei consigli evangelici e appartiene “inconcusse”, indiscutibilmente, alla costituzione divina della Chiesa, alla sua vita e santità, pur non concernendo la sua struttura gerarchica (cf LG, 44).
Possiamo anche affermare che l’ecclesialità della vita consacrata è data dal suo significato sponsale che “in quanto consacrazione di tutta la persona, manifesta il mirabile connubio istituito da Dio, segno della vita futura” (can. 607 §1).
Lumen Gentium 44 è la fonte del can. 207 §2 che riprende integralmente: “il loro stato, quantunque non riguardi la struttura gerarchica della Chiesa, appartiene [omissis “inconcusse”] tuttavia alla sua vita e alla sua santità”. La stessa omissione la ritroviamo al can. 574 §1: “Lo stato di coloro che professano i consigli evangelici in tali istituti appartiene [omissis “inconcusse”] alla vita e alla santità della Chiesa”. L’avverbio “inconcusse” viene omesso volontariamente. La definizione data da Lumen Gentium, infatti, non si riferisce alla vita consacrata in genere, ma alla forma di vita consacrata nella quale rientra lo stato religioso i cui elementi essenziali sono dati dai voti pubblici, la vita fraterna in comune e la separazione dal mondo.
Si può effettivamente comprendere il motivo dell’omissione dell’avverbio “inconcusse” perché il termine “consacrazione”, rispetto alla consacrazione religiosa, in senso generico include anche altre forme in cui la cooptazione è fatta attraverso voti privati o altri vincoli sacri, quali la promessa e il giuramento che non prevedono la radicalità dell’assunzione dei consigli evangelici come nel caso dei voti pubblici. Quindi a questo stato di consacrazione non addice l’espressione “inconcusse”, quanto alla “appartenenza alla vita e alla santità della Chiesa”.
S. Tommaso definisce la differenza tra voto e giuramento: “con il voto si contrae un obbligo verso Dio, [promissio Deo facta], mentre nel giuramento si contrae un obbligo verso un uomo. Ora si è più obbligati verso Dio che verso un uomo, quindi l’obbligatorietà del voto è superiore a quella del giuramento. […]. Entrambi gli obblighi del voto e del giuramento sono causati da qualcosa di divino, però in maniera diversa. Infatti, l’obbligazione del voto è causata dalla fedeltà a Dio con l’adempimento delle promesse a lui fatte, mentre l’obbligazione del giuramento è prodotta dal rispetto a lui dovuto, per cui siamo tenuti a rendere vere le promesse fatte invocando il suo nome. Ora, ogni infedeltà implica una mancanza di rispetto, ma non viceversa, infatti l’infedeltà di un suddito è la più grave mancanza di rispetto verso il signore. Quindi il voto per sua natura è più obbligatorio del giuramento” (S. Th., II-II q. 89, a. 8).
Rabani Mauri Moguntinensis archiepiscopi, de clericorum ecc. testimonia la diffusa convinzione che la Chiesa è suddivisa in tre ordini, ovvero i laici, i monaci e i chierici: “Sunt tamen tres ordines in Ecclesia. Conversantium, id est laicorum, monachorum et clericorum”.
Il Codice dei Canoni delle Chiese Orientali, promulgato il 18 ottobre 1990, dato per la Chiesa orientale cattolica descrive il Popolo di Dio distinto in tre stati di vita: chierici (cf can. 323 §§1-2), laici (cf can. 399), religiosi (cf can. 410).
Per esemplificare, riguardo all’ecclesialità dello stato di vita consacrata, Pio XII con la Costituzione Apostolica Provida Mater Ecclesia il 2 febbraio 1947 approva gli Istituti secolari quale nuova forma di vita consacrata distinta dagli ordini religiosi e dalle congregazioni nella pratica dei consigli evangelici con voti privati (o semi pubblici), senza obbligo di vita comune i cui membri non cambiano la loro condizione canonica laicale o clericale (cf. can. 711), non cambiano il loro stato, rimanendo laici o chierici, magari laici o chierici “qualificati”, pur facendo parte dello stesso stato di vita consacrata. Per Velasio De Paolis gli Istituti secolari si trovano in una “situazione di frontiera tra il laicato e la consacrazione”. Si potrebbe dire che “rimangono laici come realizzazione piena della consacrazione battesimale”. Nel caso del matrimonio il voto di castità emesso in un Istituto secolare produce effetti solo ad liceitatem, ma non costituisce un impedimento dirimente come per il voto pubblico e perpetuo di castità emesso negli Istituti religiosi.
Esistono altre forme di consacrazione, oltre a quella degli Istituti secolari (cf cann. 710-730), come la vita eremitica (cf can. 603 §§1-2), e l’ordine delle vergini “assimilato a queste diverse forme di vita consacrata” (can. 604 §§1-2) dei quali non si può parlare in modo inconcusse di appartenenza alla vita e santità della Chiesa, come invece si era espressa Lumen Gentium per gli Istituti religiosi Per cui la parola inconcusse doveva essere omessa dal can. 207 §1 parlando della vita consacrata in genere.
Il Codice di Diritto Canonico traduce in termini canonici l’ecclesialità della vita consacrata che è data dal mistero che caratterizza la sua stessa natura, ovvero il posto che essa occupa nella Chiesa. Scrive il Cardinale Vincenzo Fagiolo, eminente giurista e teologo: “C’è un congiungimento tra identità teologica e identità giuridica, tra consacrazione e missione, tra chiamata e risposta. Il fondamento della professione, la vita consacrata, i consigli evangelici è sostanziale e rilevante sia sotto l’aspetto teologico sia sotto l’aspetto giuridico, in definitiva perché è riflesso del mirabile connubio istituito da Dio”. L’ordinamento canonico traduce l’identità teologica in identità giuridica delineando il profilo dello status personarum.
Come abbiamo osservato il can. 207 §1 non presenta esplicitamente la vita religiosa come uno stato di vita autonomo, ma rimane ancorato allo schema dei “duo genera christianorum” dei chierici e laici, a differenza dell’esplicito riconoscimento dello stato religioso fatto da Lumen Gentium nn. 13 e 31, che con la medesima formulazione, all’interno della tripartizione degli stati nella Chiesa, ne rafforza il legame “alla sua vita e santità” attraverso l’avverbio inconcusse.
Fonte remota del can. 207 riguardo alla bipartizione conosciuta come “duo genera christianorum” viene fatta risalire al magister Graziano nel suo Decretum, che a sua volta su questo argomento si ispira a San Girolamo. Da una attenta lettura del testo grazianeo, tuttavia, il genus cui appartengono i clerici, include anche tutti gli altri battezzati che costituiscono il genus christianorum, ovvero quel genus mancipatum divino officio, deditum contemplationi et orationi, che non ha proprietà per sé, ma possiede tutte le cose in comune. Altra cosa è il genus christianorum, quali sono i laici. Laos infatti è il popolo costituito da coloro ai quali è lecito possedere i beni temporali anche se soltanto per l’uso, amministrare le cose materiali, avere cura della famiglia e dei figli. A costoro è consentito sposarsi, coltivare la terra ecc.”. Nel Decretum di Graziano le prerogative dei clerici sono anche quelle dei religiosi, mentre vi è incompatibilità con quelle di coloro che sono detti “laici”, soprattutto per il possesso della proprietà privata, del matrimonio, della famiglia ecc. Il Decreto di Graziano, quindi, nell’enunciare le prerogative di ciascun status, non vede la compatibilità tra appartenenza alla vita religiosa e quella che è propria dei laici, cioè il così detto “populus”.
Fonte diretta del can. 207 CIC/1983 è il can. 107 CIC/1917 il quale, dopo aver presentato i due stati di vita, chierici e laici, afferma “utrique autem possunt esse religiosi”, gli uni e gli altri possono essere religiosi, ma senza riconoscere che vi sia uno status autonomo per i religiosi.
Tra le fonti più recenti dobbiamo fare riferimento anche alla Lex Ecclesiae Fundamentalis, un progetto di legge canonica che avrebbe dovuto enunciare i principi giuridici generali della Chiesa universale raccogliendo le norme costituzionali come base per la restante normativa. A proposito della bipartizione degli stati di vita, la Lex Ecclesiae Fundamentalis al can. 25 presenta la vita consacrata che si realizza attraverso la professione dei consigli evangelici con voti o altri vincoli sacri emessi da chierici o fedeli laici, la quale benché non faccia parte della struttura gerarchica della Chiesa, “ad eitis tamen vitam et sanctitamen inconcusse pertinet”. Il testo passa integralmente nel can. 207 §2 con l’esclusione dell’avverbio inconcusse.
La tripartizione canonica degli stati di vita così ben espresso dalla Lumen Gentium, rimane inattuato nel can. 207 §2. La ragione dovrebbe risiedere nel fatto che la consacrazione non comporta sempre un cambiamento di stato a meno che non si tratti di professione emessa in un Istituto religioso. L’equivoco potrebbe essere attribuito all’estensione delle forme di vita consacrata o a esse assimilate sotto l’unico titolo di Istituti di vita consacrata (cf cann. 573-606) nel quale si perde di vista la specificità di ciascuno. Lumen Gentium 44, afferma che dopo la consacrazione battesimale, “con i voti o altri sacri legami, per loro natura simili ai voti, il fedele si obbliga all’osservanza dei tre consigli evangelici”.
In riferimento alla consacrazione religiosa, pensiamo alla minore radicalità, dovuta alla diversità dei legami, con cui nelle altre varie forme di vita consacrata per esempio viene assunto il voto (o promessa) di povertà da permettere con gradualità il diritto di continuare a possedere dei beni da conservare fino alla morte tramite testamento, oppure al voto di castità che rende soltanto illecita e non invalida la celebrazione del matrimonio anche senza dispensa.
L’ecclesialità della vita consacrata realizza totalmente il suo mistero nello stato di vita religioso che “in quanto consacrazione di tutta la persona, manifesta nella Chiesa il mirabile connubio istituito da Dio, segno della vita futura” (can. 607 §1). Per questo le diverse forme di consacrazione manifestano in diverso modo, secondo la loro natura, la comunione ecclesiale, ma solo la vita religiosa appartiene “inconcusse” indiscutibilmente, inseparabilmente alla costituzione divina della Chiesa, alla sua vita e santità. La Chiesa non può fare a meno dell’identità ecclesiale che esprime la vita religiosa.
La consacrazione totalizzante della persona nella forma religiosa la fa assurgere a stato di vita autonomo nella Chiesa. All’interno del Popolo di Dio la tripartizione dei tre stati di vita risulta costituito da chierici, laici e religiosi. A questi la Lumen Gentium dedica distintamente il capitolo VI, all’interno del Popolo di Dio (cap. II), dopo aver trattato della costituzione gerarchica e del clero (cap. III) e dei laici (cap. IV).
La vita consacrata, quantunque non riguardi la struttura gerarchica della Chiesa, appartiene tuttavia alla sua vita e alla sua santità ed è per questo un elemento irrinunciabile che l’accompagnerà in perpetuo. Essa rientra nell’impianto costituzionale della Chiesa nel senso che le è essenziale, costituzionalmente le appartiene.
Il can. 207 §2 lo afferma sì, ma non in maniera categorica, infatti pur richiamandosi pedissequamente alle fonti storiche e del magistero, l’unico termine che omette di riportare è l’avverbio inconcusse, cioè “indiscutibilmente”, “immancabilmente”, “inseparabilmente”, che suonerebbe come una clausola restrittiva, ovvero la “consacrazione” non comporta sempre di per sé, inconcusse, l’ingresso nello stato di vita consacrata con il cambiamento di stato. Infatti il termine “consacrazione” non è univoco, ma assume un significato specifico in riferimento alle forme di vita consacrata dove viene professata, per cui avremo la consacrazione religiosa, la consacrazione secolare, la consacrazione eremitica, la consacrazione nell’ordo virginum.
Il Codex 1983 avendo accomunato sotto il titolo generale di vita consacrata tutte le forme di vita consacrata, ha introdotto una terminologia che rivela un diverso modo di concepire lo stato religioso quanto alla separazione dal mondo e alla vita comune. Il tipo di vincolo infatti distingue le varie forme giuridiche di consacrazione, molto diverse tra loro. Per questo Lumen Gentium riconosce la presenza di altri gruppi di consacrati, ma ne parla in termini di somiglianza, accedunt, rispetto alla consacrazione religiosa.
La scelta del Legislatore di omettere dalla formulazione del can. 207 §2 e del can. 574 §1 l’avverbio inconcusse è dovuto al fatto che non ogni forma di consacrazione appartenga immancabilmente alla vita e alla santità della Chiesa, come lo è lo stato religioso con i suoi elementi essenziali: voti pubblici, vita fraterna in comune e separazione dal mondo. Rispetto alle forme tradizionali dello stato religioso, entrano nello stato di vita consacrata anche quelle forme che accedunt, si avvicinano ad esse.
Va anche riconosciuto che i cann. 207 §2 e 574 §1 descrivono l’ecclesialità dello stato di vita consacrata in tutta la sua estensione, incluso quelle “assimilate”, cioè il posto che la vita consacrata occupa nella costituzione della Chiesa, per questo era necessario lasciare decadere l’avverbio “immancabilmente”, inconcusse, che ne avrebbe ristretto l’appartenenza alle forme di diritto divino che appartengono “indiscutibilmente” alla “vita e santità della Chiesa”. Questa omissione rende evidente anche la scelta della bipartizione degli stati nella Chiesa sul modello dei “duo genera christianorum” di cui parla Graziano per cui “i membri dei monasteri maschili e femminili, tutte le religiose e quei religiosi che non sono né diaconi né sacerdoti sono considerati aventi uno status collegato a una consacrazione che non permette più di usare nei loro riguardi il termine di laici”.
Pertanto è evidente, da un lato che non è possibile sostenere che i religiosi siano propriamente laici, secondo lo schema dei duo genera christianorum, dall’altro che lo stato religioso non abbia nella Chiesa una sua autonomia costituzionale rispetto allo stato clericale e laicale che inconcusse lo fa appartenere alla sua vita e santità. Altro è parlare di consacrazione in genere o di altre forme di vita consacrata.