Sinodalità e democrazia. Una sana provocazione dalla Chiesa Apostolica Armena

di Alessandro Clemenzia · Fa ormai parte dell’odierna letteratura ecclesiologica che la sinodalità sia una “dimensione costitutiva della Chiesa” e “il cammino che Dio si aspetta dalla Chiesa del terzo millennio”. Sono queste le parole proferite da Papa Francesco in occasione della Commemorazione del 50.mo anniversario dell’Istituzione del Sinodo dei Vescovi (17 ottobre 2015): su di esse sono stati scritti fiumi di pagine, sono stati organizzati convegni teologici, e la stessa Commissione Teologica Internazionale ne ha fatto l’incipit di un suo studio su La sinodalità nella vita e nella missione della Chiesa (2018). La grande questione che rimane aperta, una volta assunta tale comprensione nell’autocoscienza ecclesiale, è come inverare, da un punto di vista organizzativo e strutturale, ciò che viene definito “costitutivo” della Chiesa.

Certamente non ci si può illudere che la vexata quaestio sulla sinodalità possa rimanere su un piano esclusivamente teorico, come se fosse uno dei tanti temi da manuale di ecclesiologia. Si possono rintracciare qua e là notevoli sforzi, di singoli o di gruppi, finalizzati all’avvio di processi capaci di dilatare il potere decisionale da coloro che – secondo il Codice di Diritto Canonico – sono gli unici detentori, vale a dire il Romano Pontefice e i vescovi, a tutte le diverse espressioni del Popolo di Dio. Proprio per realizzare questo intento rimane fondamentalmente aperta la domanda su quali siano oggi gli strumenti di partecipazione in grado di garantire questo nuovo sistema (anche se “nuovo”, in realtà, non dovrebbe essere, se si tratta veramente di una dimensione costitutiva della Chiesa). È ovvio che il modello più adeguato che viene proposto dall’ambito sociologico è la democrazia, anche se dietro a questo termine si nasconde una molteplicità di dottrine e di differenti forme di governo.

Pur ribadendo la nobiltà della democrazia come concezione politico-sociale e come ideale etico, spesso e in diverse occasioni è stato ribadito che la Chiesa, anche a partire dal riconoscimento della sua natura sinodale, non è una democrazia. Questa volta la voce proviene non “dal di dentro” o “da una parte” della Chiesa, ma dall’Arcivescovo apostolico armeno Khajag Barsamian, in occasione della Cattedra Tillard, intitolata Camminare insieme. Sinodalità e unità dei cristiani (23 gennaio 2021), organizzata dal Pontificio Consiglio per la Promozione dell’Unità dei Cristiani e dall’Istituto di Studi Ecumenici dell’Angelicum.

In occasione del Convegno, l’Arcivescovo armeno, proprio a partire dal sistema conciliare che caratterizza la natura della Chiesa ortodossa non calcedoniana, ha spiegato come il processo decisionale collettivo e partecipativo, che vede nei concili la presenza anche dei laici attraverso il voto, non significa che la Chiesa possa essere intesa come un “sistema dal basso”. Al fine di garantire un migliore servizio comune e differenziato (per vocazioni) alla Chiesa è di fondamentale importanza la cooperazione tra clero e laici. Barsiaman ha riportato le parole del Patriarca Karekin I durante un’intervista rilasciata verso la fine del 1990: «La gente parla spesso della Chiesa Armena come di una Chiesa democratica. Personalmente non sono propenso ad applicare tali categorie sociologiche alla vita della Chiesa».

Le parole dell’Arcivescovo armeno, che a prima vista possono sembrare ovvie, sono in realtà un’ulteriore sana provocazione rivolta alla Chiesa Cattolica di non pensare a una sua costitutiva dimensione sinodale come a un’esperienza di “democratizzazione”. Ciò che è costitutivo della Chiesa deve necessariamente essere già presente in essa: è da qui che è necessario ripartire per rinnovare costantemente l’autocoscienza ecclesiale.