Pier Damiani tra monachesimo e riforma della Chiesa

Questo è l’XI secolo e questa è l’epoca che ogni storico conosce proprio come caratterizzata da una riforma decisiva per la storia della Chiesa: l’epoca della “Riforma gregoriana”, dal nome di quel campione della politica ecclesiastica che fu Ildebrando di Sovana, papa Gregorio VII. E quando si pensa alla riforma della Chiesa di quel periodo, probabilmente non verrà in mente il nome di Pier Damiani, che sarà forse conosciuto ai più per la sua ascesi e la radicale regolazione della vita monastica, per il suo durissimo Liber Gomorrhianus o per il fatto che Dante consacra a lui quasi un intero canto del Paradiso, il XXI. Parrà ai più impossibile che colui che fu il mentore di una nuova regolazione della vita religiosa possa annoverarsi tra coloro che ebbero un ruolo decisivo in quella Riforma che sarà detta “gregoriana”.

Qualcuno dirà che non si può associare Pier Damiani alla Riforma di Gregorio, anche semplicemente per il fatto che quando Ildebrando diventerà papa, lo stesso Pier Damiani era morto da circa un anno. Altri invece diranno che Pier Damiani non possa essere annoverato in quel movimento, perché altri erano gli obbiettivi del suo pensiero e della sua prassi, rispetto a quelli di Gregorio e dei suoi predecessori. Ma questa posizione dimentica che storicamente ciò non avvenne. Perché, anzi, Pier Damiani fu il rappresentante del mondo monastico che maggiormente svolse un ruolo, per così dire, “ideologico” in favore della riforma che da Leone IX giunse fino a Gregorio VII.

Come dunque fu possibile che un monaco ad un tempo versato in lettere e dalla forte connotazione ascetica sia stato all’origine di una riforma che oggi verrebbe definita clericale e gerarchica della Chiesa?