L’unità della famiglia umana traguardo dell’umanità
di Leonardo Salutati · Negli ultimi cento anni il magistero della Chiesa ha contribuito a precisare l’idea di unità della famiglia umana che emerge con sempre più chiarezza nel progetto salvifico di Dio, evidenziando l’esistenza di un legame tra culture e popoli diversi come esigenza intrinseca per un autentico sviluppo integrale globale.
Nel 1919, in continuità con l’opera di pace svolta durante la guerra, Benedetto XV inaugurò un nuovo percorso del magistero pontificio sempre più critico verso l’utilizzo della guerra, considerata strumento irrazionale di soluzione delle controversie internazionali. Inoltre, la sua Lettera Apostolica Maximum Illud indicò un orientamento irreversibile nella storia delle missioni cattoliche nel mondo, che non dovevano assolutamente essere viste come un’estensione della cristianità occidentale, bensì come espressione dell’ansia evangelizzatrice globale di una Chiesa universale che vuole mettersi a servizio di tutti i popoli.
Nel 1938 l’intenzione di una decisa condanna del razzismo e dell’antisemitismo nazista proprio in nome della fondamentale uguaglianza e unità del genere umano, spinse Pio XI a far preparare il testo di un’Enciclica dedicata all’unità del genere umano (Humani generis unitas) che però non fece a tempo a vedere la luce a causa della scomparsa del Pontefice nel febbraio del 1939.
Pio XII nell’esprimersi con accenti severamente critici nei confronti dello scoppio della 2° guerra mondiale, denunciò il distacco dalla «legge di umana solidarietà e carità, che viene dettata e imposta sia dalla comunanza di origine e dall’uguaglianza della natura razionale in tutti gli uomini, a qualsiasi popolo appartengano». Nella sua visione, «le genti, evolvendosi e differenziandosi secondo condizioni diverse di vita e di cultura, non sono destinate a spezzare l’unità del genere umano» (SP).
Giovanni XXIII con la Pacem in terris si indirizzò a «tutti gli uomini di buona volontà» per la soluzione dei «problemi che più assillano l’umana famiglia». L’Enciclica, maturata in un contesto di potenziale conflitto atomico, registra l’avvento di un’epoca «nella quale le distanze tra i popoli sono state quasi eliminate» a seguito dei «progressi delle scienze e delle tecniche», con la conseguenza di una accentuata «circolazione delle idee, degli uomini, delle cose» e un enorme aumento di «rapporti tra i cittadini, le famiglie, i corpi intermedi appartenenti a diverse comunità politiche». Inoltre l’affacciarsi di tanti nuovi Stati sulla scena internazionale richiedeva una nuova solidarietà tra Nord e Sud del mondo all’interno dell’unica famiglia umana.
Paolo VI si adoperò instancabilmente per la pace nel mondo, favorendo tra l’altro iniziative in ambito di dialogo culturale, artistico, sociale e scientifico. In particolare, aveva compreso chiaramente che la questione sociale era ormai diventata globale e, nell’Enciclica Populorum Progressio, sottolinea l’interconnessione tra la spinta all’unificazione dell’umanità e l’ideale cristiano di un’unica famiglia dei popoli, fraterna e solidale. In occasione della Conferenza sulla sicurezza e la cooperazione in Europa di Helsinki nel 1975, dichiarò: «Se la concertazione mondiale dovesse rallentare o atrofizzarsi, lasciando le grandi decisioni nelle mani di due o tre potenze, ciò sarà ai nostri occhi una regressione e una minaccia».
Con Giovanni Paolo II, l’unità della famiglia umana si intreccia progressivamente con il fenomeno della globalizzazione. Per questo nel 2001, sullo sfondo dei crescenti movimenti migratori, richiamò con forza l’impegno per il «bene comune universale», che «abbraccia l’intera famiglia dei popoli», «al di sopra di ogni egoismo nazionalista».
Benedetto XVI, nella Caritas in veritate, indica il dovere di perseguire il bene comune senza limitarlo ai soli confini nazionali: «In una società in via di globalizzazione, il bene comune e l’impegno per esso non possono non assumere le dimensioni dell’intera famiglia umana, vale a dire della comunità dei popoli e delle Nazioni» (CV 7).