di Gianni Cioli · La Madonna degli Innocenti, conservata presso il nuovo Museo degli Innocenti, interno all’omonimo Istituto, è un’immagine dipinta sullo stendardo processionale, già attribuito a Domenico di Michelino ma, in realtà, opera di un anonimo fiorentino della metà del cinquecento ispiratosi probabilmente al prototipo commissionato a Domenico nel 1446 (S. Filipponi – E. Mazzocchi – L. Sebregondi [edd.], Il Museo degli Innocenti, Firenze 2016, pp. 40-41). Che il dipinto cinquecentesco abbia voluto riprodurre il prototipo del secolo precedente è testimoniato dal fatto che, nel loggiato dell’Ospedale, raffigurato sullo sfondo, non appaiono ancora presenti i tondi in terracotta invetriata realizzati nel 1487 da Andrea della Robbia.
L’immagine costituisce una singolare variante del soggetto iconografico conosciuto come Madonna della Misericordia che, com’è noto, vede raffigurata la Vergine che copre simbolicamente con il proprio manto un gruppo di fedeli che si affidano a Lei, per esempio i membri di una famiglia religiosa, o un insieme di cittadini caratterizzato nei diversi ceti. Immagine che compendia lo spirito del più antico appello alla maternità divina di Maria, la quale recita: «sub tuum praesidium confugimus, sancta Dei Genitrix, nostras deprecationes ne despicias in necessitatibus nostris, sed a periculis cunctis libera nos semper, Virgo gloriosa et benedicta».
Nel nostro caso sono invece i piccoli innocenti dell’Ospedale a essere raffigurati sotto il manto di Maria. I bimbi sono suddivisi in tre distinte fasce di età: dai più piccoli, fasciati del tutto o parzialmente, in primo piano, ai mezzani, con un abitino bianco, ai più grandicelli con un grembiule nero contrassegnato dal simbolo dell’Istituto: l’immagine di un fanciullo in fasce cucita sulla spalla destra. I bambini, maschi e femmine, sotto l’azzurro manto della Madonna in abito rosso, sono in tutto sedici, otto per parte: i più grandi sono raffigurati con le mani giunte, in atteggiamento orante, i più piccoli appaiono particolarmente composti perché limitati nei movimenti dalle fasce, i mezzani sembrano chiedere e voler dare affetto, abbracciando chi la gamba della Madonna, chi il coetaneo, chi il compagno più piccolo in fasce. Alcuni bambini rivolgono lo sguardo a Maria, altri invece guardano lo spettatore, quasi a rafforzare la comunicazione non verbale della Vergine che, con gli occhi e col sorriso accennato, pare voler chiedere, a coloro che vedranno lo stendardo, un sostegno concreto alla sua materna misericordia verso i bambini.
Il numero dei bambini dipinti che affiancano la Vergine, otto per parte, può forse alludere al numero delle beatitudini evangeliche secondo il vangelo di Matteo (cfr. Mt 5,3-12). Ma i loro volti mesti, seppure non angosciati, paiono una provocazione affinché la sfida lanciata dal paradosso delle beatitudini evangeliche non si riduca soltanto, nel corso della storia, a mera poesia disincarnata e irreale.
È interessante l’idea di Katherine T. Brown, la quale vede negli inconfondibili archi brunelleschiani della loggia dell’Ospedale raffigurati sullo sfondo della pittura – quasi una replicazione della forma del manto accogliente di Maria – la possibile allusione a un’ideale continuità fra la materna misericordia della Vergine per i piccoli abbandonati e l’opera di misericordia che lo Spedale è chiamato a svolgere nei loro confronti, in nome e col sostegno di una comunità civile e cristiana disposta a contrastare il male con il bene (K. T. Brown, Mary of Mercy in Medieval and Renaissance Italian Art: Devotional Image and Civic Emblem, London-New York 2017, pp. 101-102).
Lo Spedale degli Innocenti (oggi Istituto degli Innocenti), è in effetti la più antica istituzione italiana concepita non soltanto per l’accoglienza ma anche per l’educazione e la formazione dell’infanzia abbandonata. Come ricorda Lucia Sandri: «Il 20 ottobre del 1421 il comune fiorentino deliberava affinché fosse dato il permesso all’Arte di Por Santa Maria di edificare nel popolo di San Michele Visdomini, sulla piazza di Santa Maria dei Servi, un ospedale “in qui receptentur illi quorum patres et matres contra nature iura sunt desertores videlicet parvuli qui vulgo sumpto vocabulo dicuntur i gittatelli”. L’Arte di Por Santa Maria veniva così delegata dall’autorità comunale ad esercire sull’ospedale un nuovo patronato che si esprimeva attraverso l’esercizio di cariche istituzionali. (…) Tale delega era tuttavia una prassi usuale per l’esercizio delle funzioni assistenziali della Firenze del XIV–XVI secolo. (…) Tra le arti, che sovrintendevano di preferenza alla gestione dei grandi enti ospedalieri della città (…) l’Arte della seta era quella già da tempo investita di azioni di sostegno sul fronte dell’assistenza all’infanzia con l’essere stata nominata più volte patrona, nel corso del XIV e XV secolo, degli ospedali per trovatelli, preesistenti in Firenze a quello degli Innocenti, di Santa Maria della Scala e di San Gallo. Il sostegno dato dalla corporazione alla nuova iniziativa assistenziale andò tuttavia ben oltre le aspettative (…); i mercanti della seta profusero il loro impegno sia nell’erezione della «muraglia» dell’ospedale, di cui affrontarono in gran parte le spese, sia nell’indirizzo, nuovo rispetto al passato dato all’attività assistenziale. È noto infatti come l’istituzione degli Innocenti di Firenze, unicamente destinata al sostegno dell’infanzia abbandonata, non si limitasse all’allevamento dei fanciulli, impegnandosi nel solo sostenimento delle spese per il loro allattamento, ma fosse particolarmente sensibile alla loro tutela e al reinserimento dei medesimi nel contesto sociale dell’epoca» (L. Sandri, «L’Ospedale degli Innocenti di Firenze: note per la storia di un archivio», in Ricerche storiche 24 (1994) 2, pp. 447-448).
Lo Spedale degli Innocenti costituisce un esempio concreto dell’impegno di una comunità civile ad accogliere e proteggere il suo frutto, cioè la vita umana, dall’inizio del suo percorso all’inserimento felice nella società.
Si tratta perciò di un modello virtuoso di maternità sociale che non intende idealmente sostituirsi alle responsabilità dei genitori, ma che, nella prospettiva del bene possibile anche in un mondo segnato dal male, è capace di entrare in gioco allorquando le circostanze infelici rendessero impossibile ai genitori l’accoglienza dei figli.
La questione non fa semplicemente parte della storia passata, per quanto nobile, ma è tutt’ora attuale, come ha ricordato papa Francesco in un discorso consegnato il 24 maggio 2019 proprio ai membri dell’Istituto degli Innocenti:
«Oggi l’obiettivo che dobbiamo porci, ai vari livelli di responsabilità, è che nessuna madre si trovi nelle condizioni di dover abbandonare il proprio bambino. Ma dobbiamo anche far sì che di fronte a qualsiasi evento, anche tragico, che possa distaccare un bambino o una bambina dai suoi genitori, ci siano strutture e percorsi di accoglienza in cui l’infanzia sia sempre protetta e accudita, nell’unico modo degno: dando ai bambini il meglio che possiamo offrire loro» (Francesco, «Incontro con i membri dell’Istituto Ospedale degli Innocenti di Firenze [24 maggio 2019]: discorso consegnato», in (vedi).
In un tempo ancora segnato dal male, la comunità cristiana è chiamata sempre di nuovo a imparare a porgere all’umanità i segni del regno che «è vicino» (Mc 1,15), senza permettere né che le difficoltà del reale mortifichino l’appello all’ideale, né che le fascinazioni dell’ideale offuschino la concretezza del reale e del bene che è sempre possibile.