Nel millenario della nascita di San Gregorio VII Papa
, che conducevano al malaffare e alla corruzione, all’interno della Chiesa si era smarrito il senso della sua legge suprema: la «salus animarum». Da qui la necessità di una riforma («reformatio») per correggere la deformazione («deformatio») che, a causa dei peccati, aveva deturpato e sfigurato il volto della Chiesa. L’impegno per la riforma, costituirà un tema costante e continuo nella storia del cristianesimo, poiché gli uomini, compresi gli ecclesiastici, sono imperfetti e difettosi e non sempre sono capaci di contenere le imperfezioni e i difetti, col rischio di gravi e dannosi debordamenti. Ildebrando, divenuto monaco benedettino, prestò la sua attività di consulente, teologo e canonista, nonché come legato pontificio, soprattutto a Papa Leone IX e Papa Stefano IX, nella decisa contestazione teorica e pratica al concubinato del clero e alla simonia cioè al mercato delle «res sacrae», due piaghe che dilagavano nella compagine ecclesiale, se non con l’approvazione, certamente con la tolleranza e l’indifferenza dei più. Nel sinodo del 1074, il primo dopo la sua elezione al Pontificato Romano, Gregorio VII rinnovò la scomunica contro i simoniaci e i chierici concubinari. La situazione era altresì aggravata dal pesante dominio delle autorità politiche laicali nella vita della Chiesa, per questo Gregorio VII, nel 1075, decretò il divieto del conferimento degli uffici ecclesiastici da parte dei laici, e in special modo l’investitura dei vescovi che in Germania Enrico IV di Franconia, «rex romanorum», addirittura conferiva mediante la consegna del pastorale e dell’anello. Contro questo decreto si scatenò Enrico IV, che tra l’altro provvide alla nomina di Tedaldo ad arcivescovo di Milano, anche se la sede non era vacante. Gregorio VII minacciò Enrico IV di scomunica, se avesse continuato nella sua disobbedienza. Per tutta risposta il «rex romanorum» nel gennaio 1076 convocò a Worms una dieta nella quale ventisei vescovi proclamarono la condanna e la deposizione di Gregorio VII. Il Papa, un mese dopo scomunicò Enrico IV, sciogliendo anche i sudditi dal giuramento di fedeltà. Questa scomunica ebbe un’enorme risonanza e delle notevoli conseguenze, poiché i vassalli di Enrico IV non erano più disponibili all’obbedienza nei suoi confronti finchè non si fosse riconciliato col Papa ed avesse ottenuto la remissione della scomunica. Perciò Enrico IV, nel gennaio 1077, si recò in modo umile e penitente a Canossa da Gregorio VII, colà ospitato dalla contessa Matilde di Toscana, la quale assieme ad Adelaide di Susa e ad Ugo di Cluny, intercedette presso il Papa affinchè Enrico IV fosse assolto e rientrasse nella comunione. E così avvenne. Questo atto di generosità di Gregorio VII, che, come è stato osservato, fu più da sacerdote che da capo politico, non fece demordere Enrico IV dai suoi intenti; infatti, dopo aver sconfitto i feudatari ribelli, proseguì imperterrito nella sua azione. Gregorio VII, perciò, nel 1080 rinnovò la scomunica ad Enrico IV, il quale convocò a Bressanone un sinodo di vescovi compiacenti che ancora una volta dichiararono la deposizione di Gregorio VII ed elessero nella persona dell’arcivescovo Viberto di Ravenna un antipapa con il nome di Clemente III. Enrico IV occupò inoltre la città di Roma, nella quale ben tredici cardinali erano passati dalla parte di Clemente III. Roberto il Guiscardo, duca di Puglia, di Calabria e di Sicilia, intervenne con le sue milizie, preoccupato dalla incolumità fisica di Gregorio VII, e riuscì a far ritirare da Roma l’esercito di Enrico IV. Gli eccessi dei soldati mercenari di Roberto il Guiscardo, costrinsero però Gregorio VII ad abbandonare Roma e a recarsi a Salerno dove morì pronunciando, ispirandosi al Salmo 44, la celebre frase: «Dilexi iustitiam et odivi iniquitatem propterea morior in esxilio» («Ho amato la giustizia e ho odiato l’iniquità, per questo muoio in esilio»). La sua morte, tuttavia, non fu la sconfitta del ruolo del primato della Sede Apostolica, poiché i suoi successori, facendo tesoro della sua testimonianza e della sua opera, continueranno a promuovere il consolidamento dell’autorità giuridica e morale della Chiesa romana di fronte all’autorità règia e imperiale. Nel registro delle lettere di Gregorio VII fu reperita una serie di 27 brevi formule presentate come «Dictatus Papae». E’ stato autorevolmente annotato (cfr. J. Gaudemet, Storia del diritto canonico. Ecclesia e Civitas, Cinisello Balsamo (MI), 1998, pp. 348-360) che la loro natura e il loro oggetto restano incerti: lo schema per un’allocuzione pontificia? La bozza per un documento sui diritti della Sede Apostolica? L’indice di una collezione canonica? Il «Dictatus Papae» era un documento interno alla Curia Romana non destinato a grande pubblicità, ma esprimeva chiaramente il pensiero teologico e canonico di Gregorio VII. Mi pare assai significativo, a mo’ di conclusione, di riportare la colletta della sua memoria liturgica: «Dona alla tua Chiesa, Signore, lo spirito di fortezza e l’ardore per la giustizia, che hai fatto risplendere nella vita del papa san Gregorio VII, perché rifiutando ogni compromesso ci dedichiamo con piena libertà al servizio del bene».