di Antonio Lovascio • Il 2021 sarà nuovamente l’anno di Dante. E tra i comuni della Penisola è già iniziata la corsa per celebrare i 700 anni dalla morte del Sommo Poeta. Firenze – ne ha i titoli – si candida ad ospitare il Museo della lingua italiana, che integrerebbe la spinta propulsiva che già offre l’Accademia della Crusca: pur con la sua storia millenaria, la sua grande letteratura e l’apprezzamento di milioni di persone nel mondo, un museo vero e proprio l’idioma nazionale ancora non ce l’ha.
Si prospetta, dunque, un florilegio di eventi. Ma soprattutto è un’ occasione da non perdere per una rilettura ed un approfondimento delle opere di Alighieri, un grande “profeta di speranza”: così l’ha definito Papa Francesco. Un “annunciatore” della liberazione per ogni uomo e donna. Dante può parlare ed essere d’esempio alla contemporaneità: “un uomo che, presa sul serio la propria esperienza, non fugge di fronte al pericolo, al rischio di vivere, all’interrogativo che la vita porta con sé – per Dante la morte di Beatrice – ma vi si getta dentro, si incammina nella ‘selva oscura’, e, attraverso il confronto con i testimoni della storia, recupera un orizzonte alla vita, fino a cogliere il senso del tutto nel volto di Cristo”.
Ecco perché la Chiesa ci invita a celebrarlo come il poeta della “possibilità di riscatto”, del “cambiamento profondo”, per il quale nessuna “natural burella” – nessuna umana debolezza – potrà risultare così impraticabile da impedire all’uomo che lo vuole di riuscire “a riveder le stelle”. Considerando l’opera dantesca un elemento essenziale del suo patrimonio culturale e religioso, per il profondo rapporto con la Fede cristiana e con la riflessione teologica e filosofica sviluppatasi intorno alle verità della Fede. Lo si evince dalle parole di Bergoglio, ma – lo si ritrova nei documenti magistrali dei suoi ultimi predecessori, richiamati in un commento su “Avvenire” dal card. Gianfranco Ravasi. A partire da San Paolo VI, che più di mezzo secolo fa, chiudendo il Vaticano II, impresse nella sua Lettera Apostolica Altissimi cantus quell’affermazione recisa: “Nostro è Dante! Nostro, vogliamo dire, della fede cattolica”, individuando nella Divina Commedia un fine “pratico e trasformante”, poiché – affermò – l’opera “non si propone solo di essere poeticamente bella e moralmente buona, ma in alto grado di cambiare radicalmente l’uomo e di portarlo dal disordine alla saggezza, dal peccato alla santità, dalla miseria alla felicità, dalla contemplazione terrificante dell’inferno a quella beatificante del paradiso”. Anche San Giovanni Paolo II ha fatto spesso riferimento alle opere dell’Alighieri, in particolare nella prima Enciclica, Lumen fidei: attingendo a quell’immenso patrimonio di immagini, di simboli, di valori costituito dall’opera dantesca” quando per “descrivere la luce della fede, luce da riscoprire e recuperare affinché illumini tutta l’esistenza umana, si è basato proprio sulle suggestive parole del Vate fiorentino, che la rappresenta come “favilla, / che si dilata in fiamma poi vivace / e come stella in cielo in me scintilla”. Pure il Papa Emerito Benedetto XVI non è meno legato a Dante degli altri Pontefici. Più volte, già da cardinale, ha ricordato e citato il sommo poeta. Scrivendo dello “scandalo del cristianesimo”, cioè di Cristo Figlio di Dio fattosi uomo, e quindi del significato dell’essere che va ricercato non nel mondo delle idee, ma nel volto di un uomo, rammenta la concretezza di questo pensiero nella conclusione della Divina Commedia.
Ora la Cultura contemporanea deve saper incontrare Dante e chiedere a lui la guida verso la “dritta via”, spesso impedita dalla selva oscura, verso quello che egli ci indica come “dilettoso monte/ ch’è principio e cagion di tutta gioia”. Il compito che ci attende – sottolineato dal card. Giuseppe Betori in una recente omelia celebrativa proclamata a Ravenna – “va oltre una riforma sociale, o, meglio, giunge a questa attraverso una critica della cultura dominante, per trovare orientamenti certi a una riforma della vita di ciascuno, a un recupero personale e comunitario dell’umano, collocato su orizzonti di umiltà, condivisione, solidarietà, incontro, dedizione, trascendenza; ‘puro e disposto a salire a le stelle’”, come recita il 33° canto del Purgatorio.
L’anno prossimo, raccogliendo la sollecitazione di Papa Francesco, onorando Dante Alighieri come già ci invitava a fare Papa Montini, potremo arricchirci della sua esperienza per attraversare le tante selve oscure ancora disseminate nella nostra terra e compiere felicemente il pellegrinaggio nella storia, per giungere appunto alla méta sognata e desiderata da ogni uomo: ‘L’amor che move il sole e l’altre stelle’”.