di Stefano Liccioli • Si è da pochi giorni conclusa a Panama la XXXIV Giornata Mondiale della Gioventù. I media, come era prevedibile aspettarsi, hanno rilanciato alcuni momenti di questo grande evento così come stralci dei discorsi del Santo Padre alla Veglia di preghiera o alla Messa conclusiva, con il rischio però che rimangano impresse nella gente solo degli slogan, seppur di grande effetto: “Maria è l’influencer di Dio”, “i giovani sono l’adesso di Dio”. In realtà mi pare che Papa Francesco abbia fatto alcuni richiami forti sia ai giovani che al mondo degli adulti. E’ una GMG questa che si svolge all’indomani del sinodo sul tema “I giovani, la fede ed il discernimento vocazione” che si è svolto lo scorso ottobre. Immagino dunque che il Pontefice, per i suoi interventi, abbia potuto far riferimento a tutta una serie di riflessioni che la Chiesa sta conducendo in questi ultimi anni sulle nuove generazioni e che abbiamo commentato più volte anche su “Il mantello della Giustizia”.
In particolare ho trovato particolarmente significativo un invito abbastanza esplicito che Papa Francesco ha fatto al mondo degli adulti a guardare alle nuove generazioni con rispetto. Ha infatti affermato:«Non vogliamo offrirvi un futuro di laboratorio! È la “finzione” della gioia, non la gioia dell’oggi, del concreto, dell’amore. E così con questa finzione della gioia vi “tranquillizziamo”, vi addormentiamo perché non facciate rumore, perché non disturbiate troppo, non facciate domande a voi stessi e a noi, perché non mettiate in discussione voi stessi e noi; e in questo “frattanto” i vostri sogni perdono quota, diventano striscianti, cominciano ad addormentarsi e sono “illusioni” piccole e tristi, solo perché consideriamo o considerate che non è ancora il vostro adesso; che siete troppo giovani per coinvolgervi nel sognare e costruire il domani. E così continuiamo a rimandarvi…». Al di là di tanti proclami mi pare che ci sia una strisciante ostilità generazionale per cui gli adulti fanno fatica a lasciare posti o a creare spazi per i giovani con la giustificazione che tanto “hanno tutta la vita davanti” per cui ora possono aspettare con pazienza il loro turno. Nel frattempo vengono impegnati in percorsi di formazione infiniti, lavori senza troppe prospettive o garanzie, mentre i “non più giovani” rimangono attaccati alle loro posizioni con il terrore della vecchiaia che avanza vista come uno spauracchio piuttosto che come un momento importante dell’esistenza di ognuno. Basta pensare al giovanilismo imperante che contagia uomini e donne di mezza età, giovanilismo di cui il sempre più crescente ricorso alla chirurgia estetica è uno dei termometri più evidenti. Questo relegare i giovani “in sala d’attesa”, ha precisato il Santo Padre, fa comodo anche ad alcuni ragazzi e ragazze che in questo modo rimandano a domani scelte importanti ed intanto il tempo passa. Dovremmo accogliere quindi l’invito di Papa Francesco a guardare alle nuove generazione con gli occhi di Dio, scorgendo tutto il loro potenziale lì dove gli altri vedono solo problemi. Occorre, ha detto il Papa, dare ai giovani radici a cui aggrapparsi per poter arrivare al cielo. Per poter essere qualcuno nella società. Dare loro radici a cui aggrapparsi per non essere abbattuti dal primo vento che viene, così come ha fatto Don Bosco. Ritengo, aggiungo io, che dovremmo recuperare quella prassi pedagogica che Giovenale sintetizzava nel suo motto “Maxima debetur puero reverentia”, al fanciullo (ed in generale a ragazzi e ragazze) dobbiamo il massimo rispetto.
Un altro richiamo, a mio avviso, molto importante che ha fatto il Pontefice è quello ad accogliere la vita così com’è, un invito importante soprattutto per i giovani che invece tendono ad evitare le difficoltà per non rimanere frustrati da eventuali insuccessi, a non accettare le fragilità (le proprie e quelle degli altri) e per questo a rifugiarsi in un mondo virtuale, fatto di relazioni spersonalizzate, scartando ciò che non ci piace e non ci è gradito.
Sull’esempio di Maria, Papa Bergoglio ha invitato i giovani a fidarsi di Dio:«Dire “sì” al Signore significa avere il coraggio di abbracciare la vita come viene, con tutta la sua fragilità e piccolezza e molte volte persino con tutte le sue contraddizioni e mancanze di senso. [..]. Significa abbracciare la nostra patria, le nostre famiglie, i nostri amici così come sono, anche con le loro fragilità e piccolezze. Abbracciare la vita si manifesta anche quando diamo il benvenuto a tutto ciò che non è perfetto, a tutto quello che non è puro né distillato, ma non per questo è meno degno di amore».