«Ecco l’Agnello di Dio»
di Stefano Tarocchi • Il Vangelo secondo Giovanni riserva al Battista un ruolo molto particolare: dopo averne precisato nel prologo il ruolo totalmente differente rispetto al Cristo – egli è infatti solo colui che gli rende testimonianza, e non la luce (Gv 1,8.15) – si fa conoscere al lettore che egli non è il Cristo, il Messia ma solo la «voce di uno che grida nel deserto: Rendete diritta la via del Signore». Quando Gesù arriva nel luogo in cui Giovanni sta battezzando, a Betania al di là del Giordano, è questa la sua parola «vedendo Gesù venire verso di lui»: «Ecco l’agnello di Dio, colui che toglie il peccato del mondo!». Giovanni aggiunge di essere «venuto a battezzare nell’acqua, perché egli fosse manifestato a Israele» (Gv 1,29).
Ora è questa indicazione che voglio approfondire: «ecco l’agnello di Dio, colui che toglie il peccato del mondo».
Potremmo però chiederci perché le parole del Battista parlano di «agnello di Dio che toglie il peccato», al singolare – mentre la liturgia “traduce” regolarmente «che toglie i peccati», al plurale. Questo è, come già commentava Rudolf Schnackenburg, il “peso dei peccati dell’umanità”. È ciò che viene chiamato in chiave ancora più assoluta, la distruzione di ogni ordine: «il peccato è l’iniquità» (1 Gv 3,4).
La stessa prima lettera di Giovanni sposta ulteriormente questo orizzonte, quando scrive anche: «Se camminiamo nella luce, come egli è nella luce, siamo in comunione gli uni con gli altri, e il sangue di Gesù, il Figlio suo, ci purifica da ogni peccato. Se diciamo di essere senza peccato, inganniamo noi stessi e la verità non è in noi. Se confessiamo i nostri peccati, egli è fedele e giusto tanto da perdonarci i peccati e purificarci da ogni iniquità. Se diciamo di non avere peccato, facciamo di lui un bugiardo e la sua parola non è in noi» (1Gv 1,7-10).