Andare da Elia a catechismo. Una lettera pastorale di Dalla Costa

187 269 Francesco Vermigli
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di Francesco Vermigli · Ad un lettore del solo titolo dell’articolo parrà cosa da antiquariato catechistico tornare ad una vecchia lettera pastorale, che il cardinale arcivescovo di Firenze Elia Dalla Costa inviò alla diocesi in data 20 gennaio 1937, in vista dell’imminente Quaresima. Mi riferisco a quella lettera che va sotto il titolo di Andiamo agli uomini. Certo, sembrerebbe aver tutto il diritto di sorprendersi per la nostra scelta di affidarci ad un testo vecchio di quasi 90 anni per parlare di catechesi, se egli guardasse anche solo allo stile in cui tale testo è redatto, il linguaggio che viene utilizzato, il tono vibrante che scuote la pagina. Non sono stili, né linguaggi, né toni a cui la Chiesa di oggi sia più avvezza. Dunque, cosa mai potrebbe dire alla nostra epoca e alla nostra Chiesa un testo come questo?

Eppure, si sbaglierebbe chi si fermasse al solo riferimento ad un intervento forte e chiarificatore di una figura veneranda come quella di colui che è “giusto tra le nazioni” e di cui si è intrapreso il processo di beatificazione. Perché il contenuto e ancor prima l’obbiettivo a cui mira quel testo così accorato e deciso, possono essere di insegnamento e di stimolo per la catechesi di oggi.

Innanzitutto, volgiamo il nostro sguardo al contesto ecclesiale e storico a cui si indirizza la lettera, e conseguentemente all’obbiettivo a cui essa mira. Non vogliamo entrare nelle questioni sociologiche (di eziologia storica più precisamente) che hanno attratto negli ultimi decenni il nostro mondo ecclesiale: quei dibattiti cioè dedicati a individuare il momento storico in cui si possa dire terminata l’epoca della Cristianità in Italia (il Dopoguerra? il ’68 delle cosiddette liberazioni? gli anni ’80 e ’90, sazi e disperati per dirla con il cardinal Biffi?). Ma il quadro che viene tratteggiato dal Dalla Costa in quell’anno 1937 (anno ancora distante, almeno nella percezione che se ne aveva, dalla catastrofe della guerra) è impietoso. E non basterà dire che il tono è quello di un “quaresimale” camuffato nella forma di una lettera pastorale. La situazione che viene presentata è quello di una lontananza in alcuni casi pressoché totale del mondo dalla fede e dalla dottrina cristiane. Donde l’invito appassionato di “andare agli uomini”, come si legge nel titolo della lettera pastorale. Perché erano quegli gli uomini – dice Dalla Costa – che avevano bisogno di sentire un’istruzione densa e solida. Erano quegli gli uomini la cui mancanza o almeno la debolezza nella conoscenza della fede conduceva ad una vita morale disordinata e viziosa. Erano però proprio quegli gli uomini, che nella nostra immagine un po’ approssimativa della vita ecclesiale tra le due guerre sarebbero invece dovuti appartenere ad una societas christiana, con tutti i crismi del caso.

Cosa concretamente il cardinal Dalla Costa propone alla sua diocesi per venire incontro alle lande sconsolanti dell’ignoranza religiosa del suo tempo? Propone qualcosa che potrà essere accolto con facilità anche ai nostri tempi, e qualcosa che potrebbe essere apprezzato con maggior difficoltà; ma che, a pensarci bene, non dovrebbe ancora oggi esser meno considerato.

Innanzitutto, un invito ad abbandonare ogni facile devozionalismo, che inganna l’anima e illude l’uomo d’esser religioso e pio. Per combattere questa tendenza che affatica e snerva la coscienza, solo si può passare attraverso una presentazione solida della fede cristiana; attraverso l’invito alla formazione, alla conoscenza della Bibbia e della storia della Chiesa; attraverso la partecipazione consapevole alla liturgia. Sono poi altre le linee percorse dal cardinale: l’invito alla carità operosa, alla testimonianza di vita, alla soggezione all’autorità costituita.

C’è qualcosa che sorprende in tutto questo e che mostra una capacità inattesa di questo testo a parlare al nostro tempo. L’appello, innanzitutto, al tornare agli uomini; che è un appello e un’invocazione che anche la nostra Chiesa sente in questi tempi come un imperativo e un dovere crescente. Il panorama a cui rivolge lo sguardo il cardinale, è quello di gente lontana dalla fede e dalla Chiesa; panorama assai simile a quello che dovrebbe colpire e scuotere anche noi, oggi: «Mentre sfila la processione solennissima, non dimentichiamo che le piazze brulicano di gente, che i bar, i caffè, i cinema, i teatri sono affollati», dice Dalla Costa. Vi è poi l’appello costante, ripetuto con perseveranza a ritornare ad una formazione solida, chiara dei cristiani, di tutti i cristiani, dei genitori, degli adulti più in generale. Chiediamoci: oggi si sente come un’impellenza questa formazione solida e forte? Oppure la catechesi deve volgersi semplicemente a promuovere e ad esortare, senza proporre istruzioni e insegnamenti? Che catechesi abbiamo in testa?

In fondo, questo punto è un punto dirimente. L’intento a cui mira Dalla Costa è quello di un cambiamento di vita, di una trasformazione dello stile del cristiano: per far questo ritiene decisivo e assolutamente necessario che l’uomo sia istruito, sia condotto a conoscere i grandi comandamenti di Gesù, di crescere nella conoscenza della storia della salvezza. Questo è quello che egli propone, e questo è anche quello che interpella la catechesi oggi.

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Francesco Vermigli

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