Utopia inattuali? Una pagina di Ernst Bloch.
di Carlo Nardi · Ernst Bloch parla di nozze cattoliche, che a lui appaiono serie e belle. Ed ecco uno scritto: Il principio speranza (1954), I, Sogni ad occhi aperti (trad. ital. con E. De Angelis e T. Cavallo), con Introduzione di R. Bodei, Garzanti, Milano 1994, pp. 386-388:
L’amore di Sulamith per Salomone nel Cantico dei Cantici, con i seni più amabili del vino, con l’amico che è sceso a pascersi tra i giardini e a cogliere rose, questo ardente canto di nozze viene trasformato ecclesiasticamente ed esposto allegoricamente come colloquio d’amore di Cristo con la sua Chiesa, come dedizione del capo al corpo, e come purificazione del corpo ad opera del capo. Nonostante il peccato originale, i corpi sono membra di Cristo, templi dello Spirito Santo (1 Corinti 6,16-19), sempre in modo che il matrimonio abbia le sue radici nel matrimonio di Cristo con la Chiesa e sia il suo ampliamento e prosecuzione, il suo organo e calco nella creatura ragionevole.
A questo proposito mi son ricordato della Octogesima adveniens. 80° Anniversario dell’enciclica della Rerum Novarum. Lettera apostolica. 14 maggio 1971 del papa Paolo VI, inviato al cardinal Maurice Roy, addetto alla Commissione ‘Iustitia et Pax’ in particolare sulla Rinascita delle utopie, 37:
“Meglio si comprendono oggi i lati deboli delle ideologie esaminando i sistemi concreti nei quali esse cercano di realizzarsi. Socialismo burocratico, capitalismo tecnocratico, democrazia autoritaria manifestano la difficoltà di risolvere il grande problema umano della convivenza nella giustizia e nella uguaglianza. In realtà, come potrebbero essi sfuggire al materialismo, all’egoismo o alla violenza che fatalmente li accompagnano?
Da dove viene la contestazione che nasce un po’ ovunque, segno di disagio profondo, mentre si assiste alla rinascita di “utopie” che pretendono di risolvere il problema politico delle società moderne con più efficacia delle ideologie? Sarebbe pericoloso non ammetterlo: l’appello all’utopia è spesso un comodo pretesto per chi vuole eludere i compiti concreti e rifugiarci in un mondo immaginario.
Vivere in un futuro ipotetico rappresenta un facile alibi per sottrarsi a responsabilità immediate.
Si tratta ancora di utopie e di speranze, simili certo, ma non affatto uguali, quelli di papa Paolo con papa Francesco. Il primo papa ben sapeva di speranze possibili, mentre il secondo si sente in una cupa perdita, alla quale però siamo “tutti” noi “sulla stessa barca”, ch’è la nostra. E ci è la canzonetta, vispa e saggia, e che pare alla bona, Fin che la barca va non la … della Orietta Berti (e con Fin che la barca va non la … eccetera) …
Intanto, per saperne un po’ di più, che non fa mai male: Bonhoeffer di I. Mancini, Bonhoeffer, Vallecchi, Firenze 1969, e su La Pira un mio scritto La Scrittura ne “L’Attesa della povera gente”. Teologia biblica ed economia politica, in A. Giovagnoli, A. Giuntini, A. Magliulo, C. Nardi, S. Nerozzi, L. Pagliai, D. Parisi, P. Roggi, L’Attesa della povera gente alle origini. Giorgio La Pira e la cultura economica anglosassone. A cura di Piero Roggi. Introduzione di Giulio Conticelli, Firenze, Giunti Editore, 2005, pp. 138-168, col suo evangelico di fede in fede nella Lettera ai Romani (1,17) lo ritroviamo nella sua operosa con salda sua fedeltà.
E Bloch sembra raccomandare questo suo foglio sia per ragazzi sia per vetusti, e in compagnia di papi umani.