Pier Canisio. Quando la catechesi nasce dalla mistica

251 201 Francesco Vermigli
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di Francesco Vermigli · Quando si pensa alla Controriforma, la mente dell’uomo moderno – allenato alle meraviglie della ragione raziocinante – pensa alla durezza delle contese teologiche, ad un’atmosfera cupa e pesante, al controllo scrupoloso delle coscienze, alla regolazione minuziosa della vita cristiana. Ma se quella mente andasse alla luce splendente del barocco e alla sua ridondante espressività, forse meglio toccherebbe l’essenza di quell’epoca.

Al centro della Controriforma sta una congregazione dalla solida formazione intellettuale, dal grande slancio missionario e dalla collocazione preminente nella Chiesa dell’epoca: la Compagnia di Gesù. Tra i primi e più rilevanti suoi rappresentanti fu san Pier Canisio (latinizzazione di Pietro Kanis).

Nato a Nimega nel 1521 – l’anno iniziato con la scomunica di Lutero da parte del papa Medici Leone X e proseguito con la condanna delle tesi luterane e la proscrizione del medesimo Lutero dai territori dell’Impero ad opera di Carlo V – si formò intellettualmente all’Università di Colonia. Qui ebbe contatti con personalità di livello, che impressero sulla sua vita una cifra indelebile. Presso la Certosa della città renana conobbe il mistico Nicola van Esche, di origine olandese come lui; e in generale poté accedere alla grande tradizione della mistica renana e della devotio moderna. Soprattutto, là conobbe san Pietro Favre – uno dei primi compagni di Ignazio e capostipite della linea mistica della tradizione gesuitica – da papa Francesco canonizzato il 17 dicembre 2013. Dopo la conoscenza del Favre, il Canisio si fece gesuita; divenendo – a distanza di secoli dal suo epigono – una sorta di redivivo Bonifacio (Wynfrith), come apostolo di una Germania che doveva tornare alla chiesa di Roma.

Fece di Ingolstadt – di fronte alla luterana Jena – il centro irradiante di un cattolicesimo combattivo, ma anche straordinariamente persuasivo. Qui conquistò la fama di grande predicatore. Da qui soprattutto iniziò a spargere le sue pubblicazioni dedicate alla catechesi, che avrebbero segnato il futuro della Germania cattolica per lungo tempo. Diceva papa Benedetto XVI in una catechesi dedicata al Canisio: «in Germania, ancora nella generazione di mio padre, la gente chiamava il Catechismo semplicemente il Canisio: fu realmente il catechista della Germania, ha formato la fede di persone per secoli» (Roma, Aula Paolo VI, 9 febbraio 2011).

Ma che catechismo è il catechismo che viene presentato nelle tre diverse opere a questo dedicate e pubblicate da Canisio tra il 1555 e il 1558? Un catechismo innanzitutto lineare e chiaro. Un catechismo poi nutrito dalla vasta conoscenza patristica dell’autore: un catechismo che nasce dunque anche dalla conoscenza dello sviluppo storico del dogma. Un catechismo solido, e che riesce a far trapelare la profondità della vita spirituale del Canisio.

Vi è nel Canisio uno zelo ardente per la formazione dei fanciulli, tanto quanto degli adulti. Su cosa poteva fondare il Canisio la propria opera di educazione? Certo sulla fedeltà al dogma cattolico, che in quei tempi funesti per la Chiesa appariva messo a soqquadro in una maniera inaudita. Ma forse il Canisio fonda la propria opera su qualcosa di ulteriore; un dogma mai scritto, sì, ma che il luteranesimo nella radicalità del simul iustus et peccator aveva scosso nella fondamenta. Canisio basa la propria opera di formazione sulla certezza – che gli viene dalla propria esperienza spirituale – che all’uomo è concesso di diventare dimora dello Spirito, di essere da Dio trasfigurato, di essere da Dio reso una nuova creatura.

Negli anni della maturità intellettuale del Canisio, il Concilio di Trento – poco conosciuto, quanto nella vulgata spesso ostracizzato – dichiara contro la prospettiva luterana che all’uomo che è oggetto della benevolenza di Dio, è concessa la grazia interiore santificante che lo modifica, lo trasforma, lo rende nuova creatura in Cristo. Il Canisio partecipò al Tridentino, come rappresentante dei gesuiti. L’attenzione alla liturgia e ai sacramenti che manifesta nei suoi catechismi, è il segno che coglie in essi la fonte di questa trasfigurazione; in faccia all’austera posizione minimalista protestante nei confronti dei sacramenti. Il Canisio diventa una delle più alte espressioni dell’ottimismo cattolico, che sgorga dall’antropologia dell’uomo destinato alla santificazione.

All’inizio di questo articolo, notavo come se il nostro interesse per la Controriforma andasse allo splendore del barocco, di quest’epoca si capirebbe meglio l’anima. Chi entra in una chiesa barocca, è abbacinato dai colori e dalle forme; tanto distanti dalla semplice linea del tipo rinascimentale, in specie fiorentino. Ma il barocco appartiene ad un’altra epoca e risponde ad altre preoccupazioni e mira ad altri obbiettivi. Esso vuole raccontare la sovrabbondanza della grazia di Dio; una grazia che si fa forma nelle statue e nei dipinti, che si fa carne nei santi, presenza viva di Dio nel mondo. Per questo, mirare al barocco, aiuta a capire molto meglio il Canisio, gesuita, mistico e catechista.

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Francesco Vermigli

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