di Alessandro Clemenzia · Nella lettera Enciclica Fratelli tutti emerge una tensione tra due lemmi, apparentemente contraddittori, ma che esprimono l’opposizione presente nella natura stessa della realtà: l’universale e il locale. La relazione tra questi sta particolarmente a cuore a Papa Francesco, tanto che da essa egli fa scaturire il significato di “periferia”, termine altrettanto centrale nel suo pensiero. A tale proposito, grande è l’influsso che la studiosa Amelia Lezcano Podetti e il tomista uruguayano Alberto Methol Ferré hanno esercitato sulla formazione intellettuale di Bergoglio: in particolare da loro il Papa ha appreso una forma dialettica (non hegeliana) del pensare, capace di tenere insieme poli opposti, non contraddittori. Un metodo certamente acquisito negli anni di studio del giovane gesuita argentino, soprattutto (come ha ben sottolineato il filosofo Massimo Borghesi nel suo libro Jorge Mario Bergoglio. Una biografia intellettuale [Jaca Book 2017]), nel suo incontro con gli scritti di Romano Guardini e nell’interpretazione offerta da p. Gaston Fessard degli Esercizi spirituali di Ignazio di Loyola.
Già in Evangelii gaudium Papa Francesco aveva esplicitato questo metodo attraverso alcune coppie polari (pienezza-limite; idea-realtà; globalizzazione-localizzazione), come si legge nella spiegazione dei quattro principi: il tempo è superiore allo spazio; l’unità è superiore al conflitto; la realtà è superiore all’idea; il tutto è superiore alla parte.
Da tale approccio dialettico si può affermare che la verità è sempre dinamica, non statica, è una forza sinfonica e armonica che scaturisce dalla relazione tra elementi opposti, mai monolitica e monotona: ciò significa che la distinzione – anche lì dove si manifesta nella massima tensionalità – è il luogo in cui la Verità continua incessantemente a donarsi all’uomo.
Il tema del rapporto dinamico tra universale e locale, soprattutto per quanto concerne l’ambito delle relazioni internazionali, era stato già riportato in Evangelii gaudium, citato espressamente da Fratelli tutti proprio all’inizio della riflessione su questo argomento: «Tra la globalizzazione e la localizzazione si produce una tensione. Bisogna prestare attenzione alla dimensione globale per non cadere in una meschinità quotidiana. Al tempo stesso, non è opportuno perdere di vista ciò che è locale, che ci fa camminare con i piedi per terra. Le due cose unite impediscono di cadere in uno di questi due estremi: l’uno, che i cittadini vivano in un universalismo astratto e globalizzante, […]; l’altro, che diventino un museo folkloristico di “eremiti” localisti, condannati a ripetere sempre le stesse cose, incapaci di lasciarsi interpellare da ciò che è diverso e di apprezzare la bellezza che Dio diffonde fuori dai loro confini» (Eg 234).
Papa Francesco introduce tale riflessione parlando di “sapore locale” (nn. 143-145) e “orizzonte universale” (nn. 146-150), entrambi necessari per un’esistenza concreta integrale: la perdita di uno dei due elementi porterebbe «a una deformazione e a una polarizzazione dannosa» (n. 142).
Bergoglio menziona la dimensione locale facendo riferimento al rapporto tra dialogo (che presuppone la presenza dell’altro) e identità personale, spesso colti tra loro in modo contrapposto. La prima affermazione è che non ci può essere l’uno senza l’altra: «Non mi incontro con l’altro se non possiedo un substrato nel quale sto saldo e radicato, perché su quella base posso accogliere il dono dell’altro e offrirgli qualcosa di autentico» (n. 143). Eppure Papa Francesco non si ferma a spiegare l’importanza del rapporto tra i due poli in opposizione (universale e locale), ma spiega anche la profonda interazione tra loro, tanto che l’uno ha delle immediate ripercussioni sull’altro. Per questa ragione è di fondamentale importanza conservare entrambi i poli e la tensione tra loro. Il poliedro è l’immagine migliore per descrivere una tale complessa realtà, «dove, mentre ognuno è rispettato nel suo valore, “il tutto è più delle parti, ed è anche più della loro semplice somma”» (n. 145).
L’attenzione all’identità, tuttavia, non va confusa con un narcisismo localistico che mira soltanto a preservare il proprio; e qui ci si introduce nell’altro polo, nell’universale, in assenza del quale «la vita locale non è più veramente recettiva» (n. 146). È, infatti, grazie all’ampiezza della mente e del cuore che si può arrivare a un’interpretazione del locale, in quanto ciascuno può guardarsi in modo più vero soprattutto attraverso lo sguardo dell’altro: «Guardando se stessi dal punto di vista dell’altro, di chi è diverso, ciascuno può riconoscere meglio le peculiarità della propria persona e della propria cultura» (n. 147).
Ma in cosa consiste questo “universale” o “globale” di cui si parla? Si tratta di molto più che della somma dei locali, è la medesima dinamica comunionale tra loro: «Conviene ricordare che la società mondiale non è il risultato della somma dei vari Paesi, ma piuttosto è la comunione stessa che esiste tra essi, è la reciproca inclusione, precedente rispetto al sorgere di ogni gruppo particolare» (n. 149).
L’universale, dunque, precede il locale ed è l’esperienza relazionale attraverso cui i molti possono divenire (trinitariamente) “uno”.