di Mario Alexis Portella · La vittoria presidenziale di Joe Biden su Donald Trump ha avuto una risonanza ancora maggiore delle precedenti. Le ragioni di questa enfasi sono molteplici, su tutte lo scenario di emergenza sanitaria mondiale e le numerose accuse di brogli mosse dal presidente uscente in seguito alla sconfitta.
Sono da considerare, comunque, le marcate differenze fra il neoeletto e l’attuale occupante della Casa Bianca, in particolare per la regione del Medio Oriente, sulla quale non è stato presentato un piano d’azione ben definito in campagna elettorale.
Sotto l’amministrazione di Trump, l’Usa si è dichiarato come il difensore contro il terrorismo islamico, in modo particolare l’ISIS e l’Iran. Ma in realtà il presidente Trump ha fatto il mezzano con due jihadisti, il principe Mohammad bin Salman (MBS)—il sovrano de facto dell’Arabia Saudita—e il presidente turco Recep Tayyip Erdoğan.
Con la vendita di 8 miliardi di dollari di armi al regno saudita Trump ha:
- sostenuto la guerra genocida nello Yemen, iniziata sotto l’amministrazione Obama nel 2015;
- protetto MBS dal controllo del Congresso statunitense dopo che la CIA ha mostrato che lui aveva dato l’ordine di uccidere e smembrare Jamal Khashoggi, residente permanente in America e giornalista del Washington Post nell’ambasciata saudita a Istanbul—anzi Trump si è vantato dicendo: «Gli ho salvato il culo».
- mantenuto un silenzio costante sulle repressioni della libertà religiosa nel regno, le decapitazioni pubbliche e l’imprigionamento e gli abusi sessuali contro le donne che hanno lottato per il diritto di poter guidare;
- rifiiutato di consegnare i fascicoli investigativi alle famiglie delle vittime dell’11 settembre che li avrebbero aiutati nella loro indagine civile contro i sauditi;
- ha proceduto alla produzione di uranio per sfruttare le armi nucleari.
Come è stato affermato dal New York Times e altri giornali, il rapporto di Trump con il presidente Erdoğan è ancora più scandaloso di quello che ha con MBS. Il califfo turco è riuscito di convincere Trump:
- a ritirare i duemila soldati americani dalla Siria, facilitando così la sua conquista contro i curdi che sono stati decisivi per sconfiggere l’ISIS;
- ad annullare le indagini del Dipartimento di Giustizia contro la banca turca, Halkbank, che è stato accusata di mandare clandestinamente miliardi di dollari in Iran—Trump ha personalmente ricevuto più di 1 milione di dollari in pagamenti dalle imprese in Turchia per questo favore;
- a non intervenire nella sua jihad contro l’Armenia durante il conflitto con l’Azerbagian nel Nagorno-Karabakh;
- a non criticarlo dopo la conversione della basilica Hagia Sofia e di quella della Chora in moschee.
A proposito, prima che Trump si candidasse alla presidenza statunitense nel 2015, ha detto: «Ho un piccolo conflitto di interessi perché ho un palazzo enorme e importante a Istanbul. Si chiama Trump Towers».
L’Arabia Saudita e la Turchia hanno recentemente riconciliato qualche differenza politica al fine di contrastare qualsiasi potenziale conflitto contro l’amministrazione di Biden.
L’amministrazione Biden dovrà alla fine fare i conti con un doppio califfato, Arabia Saudita e Turchia, anche la situazione precaria dell’Iran, come stati membri chiave dell’Organizzazione per la cooperazione islamica—un’organizzazione internazionale composta da 57 stati membri islamici, inclusi la Palestina e la Turchia, con una delegazione permanente presso le Nazioni Unite
Un punto sul quale il presidente-eletto è stato chiaro è la necessità di riaffermare la primaria importanza della diplomazia, che è stata sottovalutata dall’amministrazione Trump. Infatti, Biden definisce la diplomazia come «il primo strumento del potere americano». Indubbiamente, questa posizione porterà a una rinvigorita collaborazione con gli storici alleati degli Usa, in particolare con la Nato e con l’Unione europea, specificamente l’Austria, la Francia e l’Ungheria che hanno già preso misure contro la crescente influenza dell’Islam militante nei loro paesi. In modo che, come disse il presidente Woodrow Wilson, «Il mondo [sia] reso sicuro per la democrazia».