di Stefano Liccioli · Era il primo maggio 2019, in occasione della festa di San Giuseppe Lavoratore, quando Papa Francesco invitava in particolar modo i giovani ad un rinnovato spirito di solidarietà, a non aver paura dell’impegno, del sacrificio, a non guardare con paura il futuro. Da questo appello economisti, studenti, imprenditori ed imprenditrici under 35 hanno iniziato un percorso, accompagnato con attenzione da Papa Francesco, teso a creare un cambiamento globale affinché l’economia diventi più giusta, solidale e sostenibile, senza “scartare” nessuno. Questo percorso è arrivato ad una prima importante tappa nei giorni dal 19 al 21 novembre 2020 con l’evento internazionale “The Economy of Francesco”. Un appuntamento pensato da tempo e che, pur svolgendosi in versione online a causa dell’emergenza sanitaria legata alla pandemia, ha visto una grande partecipazione di giovani economisti ed imprenditori (2000 iscritti da 120 Paesi) che hanno comunque avuto la possibilità, attraverso le piattaforme digitali, di condividere l’esperienza vissuta, il lavoro, le proposte, e le riflessioni maturate in questi mesi. Oltre che nei temi trattati il legame con San Francesco è rimasto ugualmente perché la “regia” dell’evento è stata ospitata ad Assisi, nei luoghi storici francescani.
Ho consultato il sito internet dell’evento www.francescoeconomy.org ed ho trovato diversi spunti interessanti di riflessione. Troppi per esseri riassunti in maniera esaustiva in questa sede. Mi preme però mettere in risalto il punto di partenza di questo cammino (o processo tanto per usare una parola ed un concetto caro a Papa Francesco: occorre «iniziare processi più che di possedere spazi» aveva scritto nell’Evangelii gaudium) e cioé che è necessario formare una cultura che consenta e stimoli «l’apertura di visioni diverse, improntate a un tipo di pensiero, di politica, di programmi educativi, e anche di spiritualità che non si lasci rinchiudere da un’unica logica dominante». Sono le parole che il Santo Padre ha pronunciato nel video messaggio rivolto ai giovani partecipanti a conclusione dell’evento. Egli sottolinea un dato, a mio avviso, fondamentale: se si vuol superare davvero modelli economici radicati unicamente nella ricerca dei profitti e che ignorano i costi umani, sociali e ambientali per conseguirli, occorre una cultura che generi modelli alternativi convincenti. Servono dirigenti comunitari e istituzionali che nella loro azione sfidino la sottomissione alle ingiustizie. A tal proposito già Benedetto XVI aveva osservato nell’enciclica “Caritas in veritate” che la fame «non dipende tanto da scarsità materiale, quanto piuttosto da scarsità di risorse sociali, la più importante delle quali è di natura istituzionale». Si tratta di un vero cambiamento di paradigma economico e sociale, «stiamo parlando – ha precisato Papa Bergoglio – di una conversione e trasformazione delle nostre priorità e del posto dell’altro nelle nostre politiche e nell’ordine sociale» e per far questo non può bastare l’opera, seppur meritoria, del mondo del Terzo settore.
Un altro aspetto significativo è che il Papa abbia avviato questo processo con i giovani e per i giovani, rendendo le nuove generazioni protagoniste già ora di quel cambiamento che vogliamo che ci sia nel domani. Non caso San Giovanni Bosco, che di giovani se ne intendeva, diceva che «dalla buona o cattiva educazione della gioventù dipende un buon o triste avvenire della società».
In un altro intervento su “Il mantello della giustizia” avevo ricordato che quest’anno scolastico è entrato in vigore in forma obbligatoria l’insegnamento dell’educazione civica in tutti i gradi dell’istruzione, a partire dalle scuole dell’infanzia. Sarebbe bello, a mio avviso, che questa materia non risultasse solo un altro adempimento scolastico, ma fosse una vera opportunità per far riflettere studenti e studentesse anche su alcuni dei temi trattati a “The Economy of Francesco” e che, tra l’altro, per certi aspetti rientrano nell’Agenda 2030 per lo Sviluppo Sostenibile sottoscritta dai governi dei 193 Paesi membri dell’ONU.
La conclusione di questo articolo non posso però non affidarla alle parole sempre attuali (verrebbe da dire purtroppo sempre attuali) di San Paolo VI:«Lo sviluppo non si riduce alla semplice crescita economica. Per essere autentico sviluppo deve essere integrale, il che vuol dire volto alla promozione di ogni uomo e di tutto l’uomo. […] – ogni uomo e tutto l’uomo! –. Noi non accettiamo di separare l’economico dall’umano, lo sviluppo dalla civiltà dove si inserisce. Ciò che conta per noi è l’uomo, ogni uomo, ogni gruppo d’uomini, fino a comprendere l’umanità intera». (PP 19).