di Antonio Lovascio • Ricevendo in Vaticano campioni e dirigenti di tutte le discipline, Papa Francesco non perde occasione per dire che lo sport è una grande scuola che insegna il valore di regole e limiti. Un momento di crescita, di impegno e di aggregazione sociale. Lo ripete con forza, anche perché sempre più si scopre che anche qui c’è del marcio. A partire dal razzismo negli stadi, per contrastare il quale urge una battaglia soprattutto culturale, che la maggior parte dei club non vuole combattere, pur avendone gli strumenti. Per non parlare di riciclaggio di denaro sporco, infiltrazioni di cosche nelle tifoserie organizzate, corruzione per appalti di opere connesse ai grandi eventi sportivi, match fixing, scommesse clandestine, doping, sfruttamento degli animali. Insomma molteplici sono le forme di illegalità che si manifestano, come documentano le numerose inchieste giudiziarie che si sono susseguite negli ultimi anni.
E’ giusto che la Chiesa se ne occupi, per non venire meno alla sua missione educativa. Secondo recenti dati Istat oltre 20 milioni di persone sopra i tre anni praticano uno o più sport con continuità (24,5%) o saltuariamente (9,8%): L’incidenza dei praticanti sulla popolazione di 3 anni e più, è pari al 34,3%. Ginnastica, aerobica, fitness e cultura fisica attirano oltre 5 milioni di italiani (il 25,2% degli sportivi), contro i 4 milioni e 642mila del calcio, il più diffuso tra gli under 35. Il nuoto è lo sport più praticato dai bambini fino a 10 anni (43,1%).
Secondo un approfondimento di Eurispes, non esiste una disciplina sportiva immune rispetto al pericolo di condotte illecite. Né è possibile discriminare tra attività professionistiche e dilettantistiche, essendo anche queste ultime oggetto di interesse soprattutto della criminalità organizzata. Tutte le mafie hanno mostrato un certo interesse in particolare per il mondo del calcio sia in Italia che nei campionati stranieri. Tanto che organizzazioni criminali prive di scrupoli riciclano ingenti capitali, tendono a controllare la rete delle scommesse, si insinuano nella gestione degli impianti sportivi e nelle tifoserie, alla ricerca del consenso sociale, controllano il mercato delle sostanze dopanti e, attraverso le loro imprese, si infiltrano negli appalti delle grandi opere pubbliche.
Il mondo dello sport, soprattutto quello professionistico, ha visto crescere in modo esponenziale la sua dimensione economica: ingaggi milionari, sponsorizzazioni miliardarie e una vera globalizzazione delle più rilevanti competizioni, hanno moltiplicato i numeri degli investimenti anche da parte di imprenditori e società finanziarie venuti dalla Cina e dall’America, alla ricerca di profitti. A fronte di ciò, manca una vera regolamentazione giuridica del settore che abbia i caratteri della robustezza, richiesta da simili quantità e grandezze economiche.
Ma le regole non bastano. Ci vuole un’azione formativa che promuova appunto lo sport come momento di educazione, di crescita, di aggregazione sociale. Una funzione in passato svolta capillarmente dagli oratori (poi spariti) che le parrocchie più fortunate, appena ne hanno i mezzi, ora cercano di ricostituire. Ricordando questo prezioso impegno, Papa Francesco parlando ad una delegazione del CSI (ed indirettamente a dirigenti, agli allenatori, ai genitori, alle famiglie) ha sottolineato che “lo sport è una grande scuola a condizione che lo si viva nel controllo di sé e nel rispetto dell’altro, in un impegno per migliorarsi che insegni la dedizione e la costanza, e in un agonismo che non faccia perdere il sorriso e alleni anche ad accettare le sconfitte”. Il Papa esorta ad essere padroni, non schiavi dei propri limiti. Una grande lezione se lo sport ci aiuta ad affrontare anche la fatica quotidiana dello studio e del lavoro, come pure le relazioni con gli altri. Soprattutto se riesce ad eliminare il marcio che purtroppo ha in sé , può essere un grande fattore di coesione. Ne abbiamo bisogno.