Cantico dei cantici. Miei pensieri

Morelli, Domenico (1823-1901) - Il cantico dei cantici, 1890di Carlo Nardi • C’è in me una certa trepidazione nel far leggere il Cantico dei cantici a giovanottelli, talora fidanzatini, ma anche a prossimi al sì. Infatti mi domando che cosa penseranno di quel poemetto tutto speciale tra gli scritti sacri. Non credo, però, che pioni o baccalà, come si diceva, si scandalizzino in merito. Piuttosto l’edificante scrittura biblica potrebbe condurre, al di là degli intenti dei biblisti, allo sghignazzo della parodia? E che sia il caso di giovinetti di fronte a una specie di Nencia da Barberino con i suoi «occhi tanto rubacuori, / che la trafiggere’ con egli un muro»? Autore il birboncello niente meno Lorenzo il Magnifico (str. 5,1-2, in Poesie, a cura di L. Sanguineti, Milano 2002, p. 58. cf. pp. 57-63)? In realtà, non ho mai percepito situazioni incresciose.

Ma i Padri dell’antichità ci possono dire qualcosa? Nilo di Ancira, monaco del quarto secolo, era preoccupato: che una lettura del Cantico fosse fomite di pericolose concupiscenze al punto di ritrovarsi di fronte ad una canzonaccia, salve le interpretazioni teologiche e morali (Commentario al Cantico prologo 1: Sources chrétiennes [SCh] 403,112-114)?

Eppure la Bibbia ha meno preoccupazioni dei suoi intrepreti. I padri della fede ventura mettevano le mani proprio su certe parti allo scopo di solennizzare moralmente in rapporti di eredità (cf. Gen 24,2). Del resto non si sente dire: Ci rimetterei …!? E si capisce dove e perché, e con debiti scongiuri (o meglio indebiti) per un supplemento di vitalità.

E ancora: «dalla coscia di Giacobbe», de femore Iacob nella versione Vulgata, «erano uscite settanta vite» umane tra figlioli e nipoti e nipotini. Infatti erano entrarti in Egitto per raggiungere Giuseppe, fratello o zio, il quale, come si sa, s’era fatta una bella posizione. Insomma ‘coscia’ quella del patriarca, la quale proprio ‘coscia’ non doveva essere stata (Es 1,5).cantico_cantici

Ma ci sono altri pensieri. Il senso morale, la distinzione tremendamente umana fra bene e male con i relativi dettami di un’aperta coscienza e d’una legittima legge, non può venire meno in questioni di sesso: a meno che si sguazzi nello squallore del lupanare. Invece, ben diversa è la turpitudine dal semplice parlar di pudenda.

Difatti il padre Adamo e la madre Eva «erano nudi e non ne provavano vergogna» (Gen 2,25). E mi dispiace che nei libri liturgici quest’ultimo stico non appaia. È chiaro che in chiesa si può opportunamente promulgare qualcosa di più di quel che è strettamente dovuto. Però con la lettura pubblica di Genesi 2,25 si sarebbe dato ai fedeli ulteriori motivi per fugare l’antica ‘eresia del male’, e sempre pullulante: intendo lo gnosticismo, come fosse ‘uno, nessuno e centomila (C. Nardi, Vangeli apocrifi. Testi tendenziosi: la produzione gnostica, in Apocrifi del Nuovo testamento, a cura di Anna Lenzuni, Bologna 2004, pp. 65-109)

Ci conferma invece la dottrina della Gaudium et spes (47-51) e dei papi seguenti con enclitiche e insegnamenti: il cristallino Paolo VI, il pacato e felice catechista Giovanni Paolo II, Benedetto XVI nel rapporto tra carità ed eros, e papa Francesco dai molti bagliori d’amore (cf. C. Nardi, Dal tedescoTaufe’. Tuffi e battesimo tra estetica ed etica, in Giornale di Bordo di storia, letteratura e arte terza serie 38 [2015], pp. 21-28).

A questo punto mi piace pensare a Emmanuel Mounier (1905-1950): ventottenne, si esprime alla fidanzata Paulette, poi moglie, con una lettera del 13 marzo 1933: «L’amore umano insegna molte cose riguardo alle vie dell’amore di Dio» (Lettere sul dolore. Uno sguardo sul mistero della sofferenza, a cura di D. Rondoni, Milano 2005, p. 42).