Cantico dei cantici. Miei pensieri
di Carlo Nardi • C’è in me una certa trepidazione nel far leggere il Cantico dei cantici a giovanottelli, talora fidanzatini, ma anche a prossimi al sì. Infatti mi domando che cosa penseranno di quel poemetto tutto speciale tra gli scritti sacri. Non credo, però, che pioni o baccalà, come si diceva, si scandalizzino in merito. Piuttosto l’edificante scrittura biblica potrebbe condurre, al di là degli intenti dei biblisti, allo sghignazzo della parodia? E che sia il caso di giovinetti di fronte a una specie di Nencia da Barberino con i suoi «occhi tanto rubacuori, / che la trafiggere’ con egli un muro»? Autore il birboncello niente meno Lorenzo il Magnifico (str. 5,1-2, in Poesie, a cura di L. Sanguineti, Milano 2002, p. 58. cf. pp. 57-63)? In realtà, non ho mai percepito situazioni incresciose.
Ma i Padri dell’antichità ci possono dire qualcosa? Nilo di Ancira, monaco del quarto secolo, era preoccupato: che una lettura del Cantico fosse fomite di pericolose concupiscenze al punto di ritrovarsi di fronte ad una canzonaccia, salve le interpretazioni teologiche e morali (Commentario al Cantico prologo 1: Sources chrétiennes [SCh] 403,112-114)?
Eppure la Bibbia ha meno preoccupazioni dei suoi intrepreti. I padri della fede ventura mettevano le mani proprio su certe parti allo scopo di solennizzare moralmente in rapporti di eredità (cf. Gen 24,2). Del resto non si sente dire: Ci rimetterei …!? E si capisce dove e perché, e con debiti scongiuri (o meglio indebiti) per un supplemento di vitalità.
E ancora: «dalla coscia di Giacobbe», de femore Iacob nella versione Vulgata, «erano uscite settanta vite» umane tra figlioli e nipoti e nipotini. Infatti erano entrarti in Egitto per raggiungere Giuseppe, fratello o zio, il quale, come si sa, s’era fatta una bella posizione. Insomma ‘coscia’ quella del patriarca, la quale proprio ‘coscia’ non doveva essere stata (Es 1,5).
Ma ci sono altri pensieri. Il senso morale, la distinzione tremendamente umana fra bene e male con i relativi dettami di un’aperta coscienza e d’una legittima legge, non può venire meno in questioni di sesso: a meno che si sguazzi nello squallore del lupanare. Invece, ben diversa è la turpitudine dal semplice parlar di pudenda.
Difatti il padre Adamo e la madre Eva «erano nudi e non ne provavano vergogna» (Gen 2,25). E mi dispiace che nei libri liturgici quest’ultimo stico non appaia. È chiaro che in chiesa si può opportunamente promulgare qualcosa di più di quel che è strettamente dovuto. Però con la lettura pubblica di Genesi 2,25 si sarebbe dato ai fedeli ulteriori motivi per fugare l’antica ‘eresia del male’, e sempre pullulante: intendo lo gnosticismo, come fosse ‘uno, nessuno e centomila (C. Nardi, Vangeli apocrifi. Testi tendenziosi: la produzione gnostica, in Apocrifi del Nuovo testamento, a cura di Anna Lenzuni, Bologna 2004, pp. 65-109)
Ci conferma invece la dottrina della Gaudium et spes (47-51) e dei papi seguenti con enclitiche e insegnamenti: il cristallino Paolo VI, il pacato e felice catechista Giovanni Paolo II, Benedetto XVI nel rapporto tra carità ed eros, e papa Francesco dai molti bagliori d’amore (cf. C. Nardi, Dal tedesco ‘Taufe’. Tuffi e battesimo tra estetica ed etica, in Giornale di Bordo di storia, letteratura e arte terza serie 38 [2015], pp. 21-28).
A questo punto mi piace pensare a Emmanuel Mounier (1905-1950): ventottenne, si esprime alla fidanzata Paulette, poi moglie, con una lettera del 13 marzo 1933: «L’amore umano insegna molte cose riguardo alle vie dell’amore di Dio» (Lettere sul dolore. Uno sguardo sul mistero della sofferenza, a cura di D. Rondoni, Milano 2005, p. 42).