Avevo fame e mi avete dato da mangiare

 

Difficilmente si potrebbe riassumere in uno spazio più breve un giudizio così forte sulla storia degli uomini e il suo impatto sulla vicenda dei singoli: è il primo quadro della nota parabola del giudizio finale.

Premetto solo che ho reso ­ con “pecore e capri”, e non “pecore e capre”, i nomi dei due “gruppi” chiamati in gioco dal Vangelo attraverso la metafora del pastore e del suo gregge. Infatti, parlare di “pecore e capre” non ha molto senso. Infatti, il loro accoppiamento è sterile, e dunque non esiste nessuna possibilità di confondere le pecore con i capri, che restano quindi separati senza alcuna eccezione: la loro stessa natura li divide, prima ancora della parola del giudice.

La presenza di tutti i popoli davanti al Figlio dell’uomo, svelato nella sua gloria, crea la condizione per evidenziare la cifra dell’agire delle creature umane: «tutto quello che avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me».

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: 15 novembre 2019)

Significativamente le parole del Papa, muovendo da una condizione – quella dell’uomo recluso in carcere, che al tempo del Vangelo, era l’intervallo che separava dal processo, e si concludeva solo con la liberazione o la morte del carcerato –, finisce per dare contenuto e spessore a tutte le condizioni di “minorità” e povertà, insite nella debolezza umana bisognosa di assistenza.

Così il racconto dell’evangelista Matteo chiude in una maniera inequivocabile l’insegnamento della parabola: «e se ne andranno: questi al supplizio eterno, i giusti invece alla vita eterna» (Mt 25,46).

Questo assunto conclusivo traccia in sostanza una linea insormontabile fra la follia evangelica, che di norma passa sotto silenzio, e l’umana follia (o stravaganza) che fa notizia anche per motivi banali: il Vangelo è infinitamente più rivoluzionario di quanto viene percepito nella realtà quotidiana.