di Alessandro Clemenzia • «L’identità cristiana è un’identità in relazione e proprio nell’incontro con l’altro si modella e si precisa» (p. 15). Con queste parole, tratte dal libro Solo con l’altro. Il cristianesimo, un’identità in relazione (EMI, 2018), il teologo e vescovo Erio Castellucci intraprende un percorso articolato, fondativo ma non scontato, circa l’identità relazionale dell’esperienza di fede.
In un contesto quale quello odierno, caratterizzato da un continuo e inevitabile incontro con l’altro, non si può fare a meno di domandarsi: chi è l’io alla luce dell’incontro con il tu? Fino a che punto questo tu riesce a penetrare nell’io, tanto da riuscire a cambiargli lo sguardo che ha su di sé?
Per rispondere a queste domande, e alle tante che scaturiscono dall’incontro con l’altro, scrive l’autore, «non c’è bisogno di mettere tra parentesi la propria identità, come fanno i relativisti, e neppure, al contrario, di brandirla contro quella degli altri, come fanno gli integralisti; c’è bisogno piuttosto di scavare a fondo la propria identità: e si scoprirà che essa porta alla relazione e che la relazione costruisce l’identità» (p. 16).
Ed è proprio questo il percorso intrapreso da Castellucci: entrare sempre più in profondità alle radici della propria identità cristiana fino a trovare in essa, dal di sotto e dal di dentro, quella spinta essenziale alla relazione con l’altro, per ricomprendere se stessi alla luce di questo nuovo incontro. Per il cristiano, infatti, il fondamento interpretativo del rapporto tra individualità e pluralità non si rintraccia in qualche argomentazione filosofica, ma trova in Cristo la sua risposta prima e ultima.
Nell’evento del farsi carne, il Verbo di Dio si è reso visibile, e dunque dicibile e interpretabile; già durante il suo ministero pubblico (basti pensare alla domanda che Gesù stesso aveva posto ai suoi: “La gente chi dice che sia il Figlio dell’uomo?”) circolavano una molteplicità di ipotesi su di lui, sia positive sia negative, in base all’esperienza fatta. Nel tempo post-pasquale, tra i suoi discepoli, Gesù ha continuato ad essere raccontato in modi differenti: i quattro Vangeli esprimono per la Chiesa la necessità di potersi accostare al mistero della Parola incarnata attraverso una pluralità di approcci esperienziali. «Gesù è “uno”, ma è uno talmente ricco e poliedrico […] da poter essere compreso e annunciato solo a partire da tanti angoli prospettici» (p. 34). Con un’immagine pregnante Castellucci afferma ancora a proposito di Cristo: «Il suo mistero non è un raggio laser, che lancia un fascio di luce compatto in un’unica direzione, ma un prisma, che riflette colori e luci in tante direzioni e si arricchisce di tonalità ogni volta che lo si guarda da una visuale nuova» (p. 34).
Seguendo la strada del Maestro, la Chiesa comprende la propria missione ad extra come un’esperienza di dialogo e di annuncio, e questo vale per ogni “altro” che si incontra lungo il cammino. Secondo Castellucci, è proprio nel Simbolo di fede che la Chiesa può rintracciare un metodo e un paradigma per vivere il dialogo con le altre religioni in modo inclusivo: credere in un solo Dio, Padre e creatore universale, offre allo sguardo credente una positività di fondo verso ogni esperienza umana; credere in Cristo, figlio di Dio incarnato, morto e risorto, fa sì che tale presenza possa essere riconosciuta in ogni uomo, poiché in ognuno c’è una sua impronta; credere nello Spirito Santo, Signore e vivificatore, significa riconoscere che egli soffia dove vuole, tanto nella Chiesa quanto nel mondo.
Da un dialogo autentico che trova all’interno della propria fede la sua motivazione intrinseca, nasce l’esigenza dell’annuncio al fine, sia di realizzare quanto Cristo stesso aveva chiesto ai suoi, sia di testimoniare ad altri l’esistenza nuova che si è sperimentata nell’incontro con il Nazareno.
Nell’ultima parte del libro, Castellucci mostra l’apporto che il giudaismo e il cristianesimo hanno offerto alla formulazione di quei valori fondamentali dell’Europa, quali la dignità umana, la persona, la democrazia e la laicità. Per quanto riguarda la dignità umana, il giudaismo, affermando Dio come creatore di tutta la creazione, aveva messo le basi per comprendere l’equi-valenza di tutti gli esseri umani; il cristianesimo, per completare tale comprensione, predica una redenzione universale operata da Cristo. La persona è un termine specificamente cristiano, attraverso il quale si è voluto sottolineare la natura individuale e relazionale di ogni creatura. Il cristianesimo, inoltre, ha offerto quel tipo di accoglienza dell’altro che ha gettato le basi, lungo i secoli, all’attuale concetto di democrazia. Nelle prime comunità domestiche, infatti, si riunivano cristiani di diversa provenienza culturale e sociale, uomini e donne. La laicità, infine, ha trovato una forte propulsione proprio nell’esperienza cristiana: la distinzione operata da Gesù tra “Dio” e “Cesare” ha fatto sì che i discepoli, pur sapendo distinguere i due piani, non sentissero la frattura tra l’essere buoni cittadini e l’essere buoni cristiani. Alla luce dell’incarnazione, la Chiesa, occupandosi delle cose di Dio non può tralasciare l’uomo.
Un ultimo passo compiuto dall’autore per mostrare l’identità relazionale non solo del cristiano, ma anche del cittadino italiano, ha riportato l’esempio della Costituzione italiana, il cui testo porta le firme del capo di Stato Enrico De Nicola, il presidente dell’Assemblea costituente Umberto Terracini e il presidente del Consiglio Alcide De Gasperi. Sono uomini di tre culture realmente differenti: quella liberale, poneva l’accento sulla libertà del singolo cittadino; quella social-comunista, più sensibile ai diritti della collettività, puntava sull’uguaglianza di tutti i cittadini; e, infine, quella cattolica, basandosi sul concetto di persona (che conserva le dimensioni individuale e relazionale), voleva essere una mediazione tra le due precedenti inclinazioni: «Il principale miracolo della Costituzione italiana è stata proprio la fusione – tra tante discussioni e resistenze – di queste tre visioni di vita del popolo italiano» (p. 114).
La forza di uscire da sé, per dialogare e annunciare, trova nella propria interiorità la vera condizione di possibilità: è, infatti, l’incontro con l’altro a restituire al cristiano la consapevolezza della propria identità relazionale.