di Antonio Lovascio • Aiuta a camminare nella Fede. E’ sempre un piacere ascoltare la Catechesi “a braccio” di Papa Francesco. Soprattutto quando il tema è “Non rubare”. Un comandamento – il settimo – su cui non sembrerebbe esserci molto da discutere. Nell’accezione comune è l’imperativo a non impossessarsi delle cose altrui. Il mondo ridotto a due soli schieramenti: chi possiede e chi ruba. I primi da tutelare, i secondi da perseguire. Dopo aver fin dall’inizio del suo pontificato parlato più volte del “cancro della corruzione” che affligge la politica, la società ed anche la Chiesa, invitando i fedeli di tutto il mondo a mobilitarsi , a scendere in campo con la “forza invisibile” della preghiera per sradicare alla radice questo fenomeno, Bergoglio nell’udienza del 7 novembre ha completato il suo pensiero rovesciando la medaglia: invece di parlare del furto ci parla del possesso. Quasi a volerci dire che, a seconda delle condizioni, il possesso può essere la prima forma di tradimento della volontà di Dio. E’ partito ricordando che la Dottrina sociale della Chiesa richiama la “destinazione universale dei beni” a significare che “i beni della creazione sono destinati a tutto il genere umano”. Il mondo è ricco di risorse per assicurare a tutti i beni primari. Eppure molti vivono in una scandalosa indigenza e le risorse, usate senza criterio, si vanno deteriorando. “ Ma il mondo è uno solo! L’umanità è una sola!” – ha scandito Papa Francesco – Se sulla terra c’è la fame non è perché manca il cibo! Anzi, per le esigenze del mercato si arriva a volte a distruggerlo. Ciò che manca – ha denunciato Bergoglio – è una libera e lungimirante imprenditoria, che assicuri un’adeguata produzione, e una impostazione solidale, che assicuri un’equa distribuzione”.
In merito il Papa ha citato il Catechismo della Chiesa Cattolica, sconosciuto a molti: “L’uomo, usando dei beni creati, deve considerare le cose esteriori che legittimamente possiede non solo come proprie, ma anche come comuni, nel senso che possano giovare non unicamente a lui, ma anche agli altri”.
E se in questa prospettiva anche la proprietà privata trova la sua funzione e la sua legittimità “, per Papa Francesco “ogni ricchezza per essere buona deve avere una dimensione sociale”: Insomma “ chi possiede un bene è un amministratore della Provvidenza”. Bella – e forse per qualcuno sorprendente – analogia con l’articolo 43 della nostra Costituzione che impone alla legge di regolamentare la proprietà privata in modo da “assicurarne la funzione sociale e renderla accessibile a tutti”.
Dunque il possesso dei beni è una responsabilità. E’ “un’occasione per moltiplicarli con creatività e usarli con generosità, e così crescere nella carità e nella libertà”. “Ogni bene sottratto alla logica della Provvidenza di Dio – ci dice il Papa – è tradito nel suo senso più profondo. Ciò che possiedo veramente è ciò che so donare. Se non riesco a donare qualcosa è perché quella cosa mi possiede, ha potere su di me e ne sono schiavo”.
Allora cosa dobbiamo fare per essere dei buoni “amministratori della Provvidenza” ? La Catechesi di Papa Francesco sul Settimo Comandamento è un esercizio utile prima di tutto per farci assumere la piena consapevolezza che, vivendo appunto in un pianeta dalle risorse limitate, oltre a preoccuparci di lasciarne una parte alle generazioni che verranno, dobbiamo pure consentire ai tre miliardi di esseri umani impoveriti di uscire rapidamente dalla miseria. Ed avere ben chiaro che se oggi esiste ancora quasi un miliardo di affamati, non è perché non si produce abbastanza cibo, ma perché il cibo è distribuito male.
Ma, come sostiene Francesco Gesualdi in un editoriale di “Avvenire”, non possiamo farcela da soli. Ci sono delle regole da cambiare. E’ tutta l’impostazione dell’economia mondiale che risponde a logiche assurde, che hanno trasformato un terzo della popolazione in “scarti” da qualsiasi punto di vista, un terzo in persone utili solo come lavoratori forzati e un terzo in superconsumatori. Ma è un’utopia pensare che si debba porre fine con norme più serie e rigide ai tanti “furti di dignità” che si manifestano sotto forma di salari ridicoli, di fuga dei capitali nei paradisi fiscali, oppure con l’imposizione di misure da strozzo ai Paesi indebitati ? Spingiamo tutti perché stati e governi si muovano. Intanto ognuno di noi dimostri di aver imparato a declinare in maniera corretta il settimo comandamento: non rubare.