di Francesco Vermigli • «Sta cambiando ancora il tempo / Il tempo cambia sempre / Ma cambia poco chi c’è dentro» cantavano pochi anni fa Luca Carboni e Luciano Ligabue. Sono parole – queste iniziali di C’è sempre una canzone – che potrebbero anche rappresentare la condizione della Chiesa di oggi in rapporto ad un mondo giovanile in permanente cambiamento: cambia il mondo dei giovani, le loro forme di comunicazione, le loro speranze e le loro preoccupazioni, le loro priorità e i loro valori; ma potrebbe non cambiare la Chiesa in relazione a loro.
A distanza di pochissimi giorni dalla fine del sinodo sui giovani, mi è capitato di presentare ad un gruppo di circa cinquanta giovani il documento finale appena redatto dai padri sinodali. Non pochi tra loro, si sono detti sorpresi dal fatto che i vescovi radunati in un sinodo convocato dal papa, abbiano speso tempo ed energie a riflettere e a lavorare sul mondo giovanile; ad un tempo ascoltando i giovani, invitandoli a discernere nella loro vita e indicando loro la strada.
Ascolto, discernimento e cammino sono anche le parole che accompagnano la struttura generale del medesimo documento. Il documento rimanda continuamente a quell’episodio evangelico che è come innervato dal riferimento proprio a questi tre momenti distinti, eppure connessi: il Vangelo dei discepoli di Emmaus (Lc 24).
Gesù innanzitutto ascolta i discepoli, li interroga, si fa loro compagno di strada. Cammino con i giovani e ascolto dell’odierna multiforme cultura giovanile è il primo passo che il documento del sinodo riconosce debba compiere la Chiesa (I parte: «Camminava con loro»). Si tratta del momento conoscitivo, il momento in cui la Chiesa si fa attenta e rispettosa ascoltatrice della realtà dei giovani: dei luoghi e dei messaggi della cultura giovanile, della rete di relazioni che essi si trovano a vivere (in famiglia, nelle amicizie, negli affetti), delle sofferenze e delle fragilità che li lacerano. È un principio basilare di ogni accompagnamento e, a ben vedere, di ogni azione pastorale: perché l’opera della Chiesa non sia astratta e inadeguata alla situazione è necessario che essa conosca la realtà, per consigliare e per incitare alla conversione in maniera corretta ed efficace; sfuggendo così ad ogni sorta di paternalismo, che scatena insofferenza presso i giovani.
Nell’episodio di Emmaus, Gesù dopo aver ascoltato attentamente e aver interrogato i discepoli, insegna, li conduce a conoscere la verità, scalda il loro cuore; infine, apre i loro occhi, nel momento in cui con loro condivide il pane. A questo secondo momento dell’episodio corrisponde la seconda parte del documento: «Si aprirono loro gli occhi». Così si legge nel cappello introduttivo, a commento di Lc 24,27-31: «Dopo averli ascoltati, il Signore rivolge ai due viandanti una “parola” incisiva e decisiva, autorevole e trasformante. Così, con dolcezza e fortezza, il Signore entra nella loro dimora, rimane con loro e condivide il pane della vita: è il segno eucaristico che permette ai due discepoli di aprire finalmente gli occhi». È la fase delicatissima del discernimento di ciò che si è ascoltato con rispetto e attenzione; è la fase della proposta liberante circa la persona di Gesù: «Tanti giovani sono affascinati dalla figura di Gesù […] La vita di Gesù rimane anche oggi profondamente attrattiva e ispirante; essa è per tutti i giovani una provocazione che interpella» (n. 81). L’interesse del documento ora si sposta tanto al senso esistenziale dell’accompagnamento («Come insegna il racconto dei discepoli di Emmaus, accompagnare richiede la disponibilità a fare insieme un tratto di strada, stabilendo una relazione significativa»: n. 92), quanto alla figura dell’accompagnatore («Il buon accompagnatore è una persona equilibrata, di ascolto, di fede e di preghiera, che si è misurata con le proprie debolezze e fragilità. Per questo sa essere accogliente verso i giovani che accompagna, senza moralismi e senza false indulgenze»: n. 102).
Ma avviene un’ultima cosa ai discepoli che hanno incontrato il Signore. Quello che hanno vissuto cambia loro la vita, tornano sui loro passi, il cammino riprende vigore (III parte: «Partirono senza indugio»). L’accompagnamento e il discernimento aprono ai giovani orizzonti nuovi, frontiere invalicabili vengono superate, energie inaspettate e dinamiche prima impensabili vengono mobilitate. È il momento della partenza, del cammino di colui che ha scoperto nella vita la propria vocazione. Il documento culmina proprio qui, nel punto in cui riconosce che non potrà mai accadere che la pastorale rivolta ai giovani non sia anche una pastorale vocazionale. Se non potrà mai accadere, è perché la Chiesa deve prendere coscienza che «la giovinezza è la stagione privilegiata delle scelte di vita e della risposta alla chiamata di Dio […] è il momento privilegiato dell’ascolto, della disponibilità e dell’accoglienza della volontà di Dio» (n. 140). Una presa di coscienza circa la vocazione come orizzonte comune a ciascun cristiano, che non potrà che far bene alla Chiesa e alla sua conversione missionaria.