di Luigi Lamioni · Nel 1930 Giovanni Battista Montini raccoglie il suo pensiero sull’università e lo studente universitario intitolando emblematicamente il libretto Coscienza Universitaria. E la rubrica che compare in questa rivista online, a cura del gruppo FUCI di Firenze, prende il nome proprio da quel libro. Col senno di cinquant’anni, quel titolo forse lo si poteva definire profetico: gli avvenimenti degli anni ’60 e ’70 hanno traumaticamente dimostrato la presenza di una coscienza, non solo universitaria, ma giovanile e generazionale in toto (forse non nel modo che il Montini avrebbe voluto).
Bene, col senno di altri quarant’anni il libretto del Montini è divenuto un’utopia. Nella stragrande maggioranza dei giovani una coscienza generazionale non c’è, nella stragrande maggioranza degli universitari una coscienza universitaria non c’è. Le ragioni di ciò non possono essere tutte interne al mondo dell’università. La caduta delle ideologie sostituite da concetti consumabili, una crisi economica e culturale perenne, l’ingenua nostalgia per il secolo scorso: questo è il mondo degli adulti in cui i giovani sono cresciuti negli ultimi due decenni.
Condire con diffuso generico pessimismo e pandemie a piacere… ed ecco che disillusione, indifferenza e apatia sono gli unici sentimenti che uniscono questa generazione e senza speranza di cambiamento non si può pensare ad una coscienza collettiva.
Si potrebbe dire che la resilienza e l’attività dei Gruppi F.U.C.I. (e questo articolo stesso) per esempio, provino il contrario di quanto detto sopra. Ma non solo si tratta di una parte infinitesimale degli studenti: spesso chi è in questi mondi non si accorge che sta navigando come in una bolla, senza contatti con la maggioranza degli studenti. Inoltre, se è vero che la politica attiva in università esiste, è variegata e fa sentire la sua voce, manca molto di forza ideologica e decisione: tra le diverse parti politiche i programmi e le proposte non sono in fondo dissimili e gli strumenti per realizzarle neanche. Oltre questa omogeneizzazione di idee, aleggia anche una certa accondiscendenza verso gli organi universitari, che rende impossibile cambiarli.
Non è tutto da buttare sia chiaro. Ogni associazione propone attività, dibattiti e si prodiga nell’informazione e sensibilizzazione sui temi del suo indirizzo politico. Il problema ancora una volta è numerico: non sono abbastanza gli studenti coinvolti da intravedere una coscienza universitaria.
In questo paradigmatico schema di tesi e antitesi arriviamo ad una sintesi. Questo lungo corso di non-coscienza giovanile ha lasciato che l’università smettesse di essere un luogo di formazione. Ad oggi l’università non è un luogo di formazione ma al massimo di informazione, come un tortuoso tornello da superare per vincere una certificazione. C’è bisogno più che mai di una coscienza universitaria e di usarla per far tornare (se mai lo è stata) l’università un luogo di crescita umana ed intellettuale.