Il Papa denuncia la cancel culture: «C’è un pensiero unico costretto a rinnegare la storia».

880 461 Carlo Parenti
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di Carlo Parenti · Tra i temi trattati nel tradizionale Discorso del Santo Padre Francesco ai Membri del Corpo Diplomatico Accreditato presso la Santa Sede, del 10 gennaio 2022 (vedi), i commentatori hanno enfatizzato quello relativo alla ferma critica della c.d. cancel culture. Commentatori per lo più politici e laici, perché i vaticanisti sembrano non essersene accorti.

Rivolgendosi agli ambasciatori rappresentanti in Vaticano 183 Stati, in aggiunta a Unione Europea e Ordine di Malta, il Papa ha pronunciato parole significative, innovative e dirompenti sulla tendenza diffusasi nel mondo anglosassone che porta a censurare classici letterari, opere filmiche, pensatori e autori, nonché a distruggere statue.

Occorre fare prima una piccola storia (si vedano anche Treccani e Wikipedia) di questo fenomeno che nasce nel 2017 negli USA come strumento di affermazione dei diritti delle minoranze.

La locuzione cancel culture (in italiano cultura della cancellazione o cultura del boicottaggio) è usata per indicare una forma moderna di ostracismo nella quale qualcuno diviene oggetto di indignate proteste e di conseguenza estromesso da cerchie sociali o professionali.

Essa si è rapidamente estesa a tutti quegli ambiti di revisionismo e moderna iconoclastia che chiedono a vario titolo la rimozione di monumenti, riconoscimenti e toponomastica e in generale all’azione del politicamente corretto. La cultura della cancellazione si manifesta verso opere d’ingegno del passato, come libri e film, considerate portatrici di valori deprecati e talvolta offensivi, togliendole dal contesto in cui sono state ambientate o scritte oppure verso personaggi famosi (tra cui William Shakespeare, Winston Churchill), la cui opera è riproposta in modo meno elogiativo rispetto al canone classico. Esempi sono anche statue rimosse di ottocenteschi generali schiavisti americani o la distruzione di monumenti di Cristoforo Colombo colpevole della sanguinosa distruzione di antiche civiltà locali. In Inghilterra si è proposto di «decolonizzazione» i Kew Gardens che ospitano piante esotiche –arrivate dalle colonie britanniche- e edifici di ispirazione «esotica». Va detto che però in generale i giardini botanici sono uno specchio della cultura botanica di un’epoca e di una testimonianza dell’azione dell’uomo sulla natura: l’antropocene. In Italia si chiede oggi di rimuovere la statua di Indro Montanelli a Milano perché razzista. O, per ipotizzare un caso, è stato osservato che rimuovere le opere razionaliste del Ventennio significherebbe radere al suolo l’Eur a Roma.

Sconcertanti casi effettivi di censura o di cancellazione di memorie del passato, mentre le posizioni storiografiche che si limitano a propiziare un processo di revisionismo (storico, ideologico, ecc.), sia pure con tesi più o meno autorevoli, non fuoriescono dall’ambito della legittima funzione della critica.

Tutto ciò detto, la premessa da cui è partito Francesco nella sua critica alla cancel culture è il riscontrato “deficit di efficacia di molte organizzazioni internazionali anche dovuto alla diversa visione, tra i vari membri, degli scopi che esse si dovrebbero prefiggere. Non di rado il baricentro d’interesse si è spostato su tematiche per loro natura divisive e non strettamente attinenti allo scopo dell’organizzazione, con l’esito di agende sempre più dettate da un pensiero che rinnega i fondamenti naturali dell’umanità e le radici culturali che costituiscono l’identità di molti popoli. Come ho avuto modo di affermare in altre occasioni, ritengo che si tratti di una forma di colonizzazione ideologica, che non lascia spazio alla libertà di espressione e che oggi assume sempre più la forma di quella cancel culture, che invade tanti ambiti e istituzioni pubbliche. In nome della protezione delle diversità, si finisce per cancellare il senso di ogni identità, con il rischio di far tacere le posizioni che difendono un’idea rispettosa ed equilibrata delle varie sensibilità. Si va elaborando un pensiero unico – pericoloso – costretto a rinnegare la storia, o peggio ancora a riscriverla in base a categorie contemporanee, mentre ogni situazione storica va interpretata secondo l’ermeneutica dell’epoca, non l’ermeneutica di oggi”.

Da questo il Papa afferma più in generale che la “diplomazia multilaterale è chiamata perciò ad essere veramente inclusiva, non cancellando ma valorizzando le diversità e le sensibilità storiche che contraddistinguono i vari popoli. In tal modo essa riacquisterà credibilità ed efficacia per affrontare le prossime sfide, che richiedono all’umanità di ritrovarsi insieme come una grande famiglia, la quale, pur partendo da punti di vista differenti, dev’essere in grado di trovare soluzioni comuni per il bene di tutti. Ciò esige fiducia reciproca e disponibilità a dialogare, ovvero ad «ascoltarsi, confrontarsi, accordarsi e camminare insieme». Peraltro, «il dialogo è la via più adatta per arrivare a riconoscere ciò che dev’essere sempre affermato e rispettato, e che va oltre il consenso occasionale». Non bisogna mai dimenticare che «ci sono alcuni valori permanenti». Non sempre è facile riconoscerli, ma accettarli «conferisce solidità e stabilità a un’etica sociale. Anche quando li abbiamo riconosciuti e assunti grazie al dialogo e al consenso, vediamo che tali valori di base vanno al di là di ogni consenso».  Desidero richiamare specialmente il diritto alla vita, dal concepimento sino alla fine naturale, e il diritto alla libertà religiosa.”

Quest’ultimo richiamo sottolinea che nuovi diritti individualistici stanno sostituendosi a quelli “naturali” puntualizzati dal Papa, che sulla cancel culture si esprime con cristallina chiarezza: Colonizzazione ideologica, attacco alla libertà d’espressione, rischio di far tacere, cancellazione del senso di ogni identità.

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