di Carlo Parenti · A Bologna dal 23 al 25 giugno u.s. si è svolto il 13° Festival del Lavoro. La Fondazione Studi dei Consulenti del Lavoro (che assieme all’Università della città ha organizzato l’evento) ha presentato un’indagine che è drammatica. “Quella che abbiamo di fronte è una vera emergenza, rispetto al pre-pandemia è raddoppiata la difficoltà di trovare profili sul mercato del lavoro. E dal 2022 al 2026 prevediamo, con una stima prudenziale, che con un fabbisogno di circa 4 milioni di lavoratori, avremo un’assenza di milione e 350 mila lavoratori”. Così Ester Dini, responsabile dell’ufficio studi della Fondazione.
Cosa causa questo fenomeno? Si ritiene che sia per un verso l’inadeguatezza del sistema scolastico che non ha più un raccordo serio con le esigenze del mondo del lavoro non formando adeguatamente nelle scuole professionali le persone per i nuovi lavori. Inoltre, L’Italia risulta al terzo posto in Europa per quantità di lavoratori con competenze inferiori rispetto alla mansione ricoperta e al settimo posto rispetto ai lavoratori con competenze superiori al ruolo ricoperto. Inoltre, influiscono pesantemente il calo demografico e la crescita del fenomeno dei cosiddetti Neet (Sigla di Not in education, employment or training), cioè i 15-34enni che non studiano, non lavorano, né sono inseriti in percorsi formativi. Sono poco più di 3 milioni ovvero il 25,1% dei giovani. 1,7 milioni sono donne. (Per un dettaglio della situazione italiana si veda il rapporto 2022 sui Neet del nostro Governo: (vedi)
Il nostro paese non si fa onore. Infatti, la comparazione con gli altri paesi è desolante. Come ha evidenziato il ministero del lavoro nella sola fascia d’età 15-19 anni i Neet italiani sono il 75% in più della media Ue, mentre nella fascia 20-24 (quella universitaria) sono il 70% in più. Inoltre, nel totale i nostri Neet nell’Europa a 27 paesi sono i più numerosi dopo i greci e i bulgari. Invece Olanda, Svezia, Lussemburgo e Germania sono le nazioni più virtuose con percentuali dal 10% (Germania) a scendere. Considerando altri paesi vicini non Ue peggio di noi solo la Turchia (33,6%), il Montenegro (28,6%) e la Macedonia (27,6%). (Sul solo specifico fenomeno della disoccupazione giovanile si veda in questa rivista (vedi).
Ai problemi già evidenziati purtroppo vanno aggiunte ulteriori criticità, che riguardano il livello di cultura, la povertà educativa e quello di alfabetizzazione degli italiani nonché il grave problema dell’abbandono scolastico.
In Italia le competenze linguistiche e matematiche sono inferiori alle media dei 36 paesi Ocse. In Italia solo il 20,1% della popolazione (di 25-64 anni) possiede una laurea contro il 32,8% nell’Ue. Ampia distanza dagli altri paesi europei anche nella quota di popolazione con almeno un diploma (62,9% contro 79,0% nell’Ue27). Ma il 50,1% delle persone ha al massimo la licenza media (di cui il 16% ha solo la licenza elementare). Gli analfabeti sono il 4,6%.
(si veda ISTAT) Inoltre circa il 28% della popolazione tra i 16 e i 65 anni è analfabeta funzionale. Significa che non sa né leggere né scrivere? No. Vuol dire invece che queste persone non sono in possesso delle abilità necessarie a comprendere a pieno e usare le informazioni quotidiane. È uno dei dati peggiori in Europa, che oltre a danneggiare la persona stessa, influisce sul progresso tecnologico.
Infine, c’è il dramma dell’abbandono scolastico tra i giovani. Pur lievemente diminuito negli ultimi anni, resta ancora al 13,5% (contro una media europea del 10,3%) per un totale di circa 543 mila giovani. l’Italia è quinta in Ue per tasso di abbandono dopo Spagna (17,3%), Malta (17,2%), Romania (15,3%) e Bulgaria (13,9%). Non è qui la sede per dire come contrastarlo, ma chi fosse interessante trova spunti interessanti in una esperienza pluridecennale – cui ho partecipato come volontario- nata in America e importata in Europa. In Italia è attiva soprattutto a Milano, Napoli e nelle provincia di Trento (vedi).
Una panoramica complessiva drammatica e sconsolante che chiama la politica a operare e i giovani a non deprimersi.
Per papa Francesco perché non manchi il cibo, la casa e il vestito, perché la vita non sia inumana, ci vuole il lavoro. Un’opera oggi prioritaria sarebbe quindi «donare il lavoro». Non «dare lavoro», cosa che pochi oggi possono fare, ma «donarlo», che è una responsabilità di tutti. Si è creata, come sopra detto, una situazione sociale che prima ancora di deteriorare l’economia ha svalutato il lavoro. “Per i giovani la mancanza di lavoro è un peccato sociale -ha detto-, la società è responsabile di questo. Spesso siete emarginati dalla vita pubblica ordinaria e vi trovate a mendicare occupazioni che non vi garantiscono un domani[…]Cosa fa un giovane che non trova lavoro? Si ammala di depressione, cade nelle dipendenze, si suicida, fa il ribelle o prende l’aereo … e si arruola nell’Isis o in un altro di questi movimenti guerriglieri. Almeno ritrova il senso di vivere e avrà uno stipendio mensile[…]Mi sembra che siamo circondati da una cultura che, se da una parte idolatra la giovinezza cercando di non farla passare mai, dall’altra esclude tanti giovani dall’essere protagonisti. È la filosofia del trucco: le persone crescono e cercano di truccarsi per sembrare più giovani, ma non si lascia crescere il giovane” (discorso ai giovani del 19 marzo 2018).
Il papa però esorta i giovani a essere responsabili in prima persona. “Invito i giovani a non aspettarsi di vivere senza lavorare, dipendendo dall’aiuto degli altri”. Lo scrive nella “Christus vivit”(vedi). “Questo non va bene, perché il lavoro è una necessità, è parte del senso della vita su questa terra, via di maturazione, di sviluppo umano e di realizzazione personale”. Per il papa il mondo del lavoro è un ambito in cui i giovani “sperimentano forme di esclusione ed emarginazione: la prima e più grave…è la disoccupazione giovanile, che in alcuni Paesi raggiunge livelli esorbitanti”[…]“Oltre a renderli poveri, la mancanza di lavoro recide nei giovani la capacità di sognare e di sperare e li priva della possibilità di dare un contributo allo sviluppo della società”, la tesi di Francesco: “In molti Paesi questa situazione dipende dal fatto che alcune fasce di popolazione giovanile sono sprovviste di adeguate capacità professionali, anche a causa dei deficit del sistema educativo e formativo. Spesso la precarietà occupazionale che affligge i giovani risponde agli interessi economici che sfruttano il lavoro” […]“È una questione molto delicata che la politica deve considerare come una problematica prioritaria – l’appello del Papa – in particolare oggi che la velocità degli sviluppi tecnologici, insieme all’ossessione per la riduzione del costo del lavoro, può portare rapidamente a sostituire innumerevoli posti di lavoro con macchinari. Si tratta di una questione fondamentale della società, perché il lavoro per un giovane non è semplicemente un’attività finalizzata a produrre un reddito. È un’espressione della dignità umana, è un cammino di maturazione e di inserimento sociale, è uno stimolo costante a crescere in termini di responsabilità e di creatività, è una protezione contro la tendenza all’individualismo e alla comodità, ed è anche dar gloria a Dio attraverso lo sviluppo delle proprie capacità”.