Le scuole religiose nel mondo mussulmano e il loro ruolo nei conflitti in Asia Centrale e nel terrorismo.
Ho comunque visitato il Pakistan in particolare il suo nord fino al confine con la Cina (e qui non ho potuto entrare nella cinese Regione autonoma Uigura dello Xinjiang), la Mongolia, l’india e il suo settentrione, l’Iran, la Russia in molte sue repubbliche. Ho anche provato a entrare in Afghanistan, ma al Khyber Pass non mi hanno fatto passare. Diciamo che ho “visto” i poverissimi villaggi del lungo confine afgano con il Tagikistan.
Mi soffermerò qui sulla presenza mussulmana e in particolare sul ruolo delle madrase e l’influenza dell’estremismo religioso nei violenti conflitti della regione e nelle azioni terroristiche. Negli ultimi anni, infatti, si è molto discusso delle connessioni tra estremismo islamico e terrorismo transnazionale. Uno degli elementi più controversi del problema è quello della diffusione del fondamentalismo in una parte delle scuole islamiche. Il fatto che molti leader del terrore, operativi di Al-Qa’ida e talebani, i militanti dell’Isis siano stati istruiti in sistemi scolastici religiosi ha focalizzato su di questi l’attenzione (si veda l’analisi storica di Carlo Centoducati) da cui colgo alcuni spunti e citazioni.
madrase e una percentuale dei frequentanti pari al 33% della popolazione studentesca totale. Altri dati invece riferiscono che le scuole religiose oggi sono circa 35.000 ed accolgono tra i due milioni e mezzo e i tre milioni di studenti. Erano poco più di duecento tali scuole nel momento dell’indipendenza nel ’47. L’assenza di criteri di selezione e di rette scolastiche per gli studenti ha portato le madrase ad accogliere per lo più bambini e giovani studenti provenienti dalle aree rurali del Paese e da famiglie sotto la soglia di povertà o appartenenti alle fasce meno abbienti della popolazione. Le madrase, dunque, svolgono non solo un ruolo formativo ma anche socio-assistenziale nei confronti della popolazione, agendo talvolta come organizzazioni non governative e colmando quelle lacune del sistema di welfare nazionale a cui il governo non riesce a far fronte. A seconda dei fondi a disposizione, infatti, le madrase offrono ai propri studenti vitto e alloggio oltre alla partecipazione ai corsi scolastici. (si veda Francesca Manenti, Il Pakistan alla prova della deradicalizzazione. )
Circa il 97,0% dei pakistani sono musulmani.Circa il 75% di essi sono sunniti ed è presente una corposa minoranza di circa il 25% di sciiti. L’attività politica delle madrase pakistane è notevole. “A preoccupare maggiormente è il dato relativo al gran numero di studenti provenienti da quasi tutte le aree di crisi, dai Balcani alla Cecenia, alle Filippine, alle Repubbliche centroasiatiche, al medio oriente e la tendenza di alcune madrase ad interrompere la propria attività nei periodi in cui le crisi internazionali raggiungono il punto di massima asprezza, che hanno condotto alcune autorevoli istituzioni a temere che gli studenti siano inviati all’estero per combattere la jihad islamica”. L’autoreferenzialità e la forte componente ideologica integralista che caratterizza l’indottrinamento impartito talvolta hanno reso alcuni di questi istituti incubatrici ideali di radicalizzazione.
“Nel corso degli ultimi anni si è verificato un cospicuo aumento delle iscrizioni alle madrase, accompagnato da un’ampia opera di espansione infrastrutturale che ha sollevato non poche perplessità. Sebbene vi sia un certo malcontento per la facilità con cui le autorità concedono appezzamenti ed infrastrutture ai leader religiosi, l’attenzione degli analisti va concentrandosi soprattutto sui metodi e sull’entità dei finanziamenti, spesso occulti, destinati alle madrase. In questo contesto, una fonte non trascurabile è costituita dalla filantropia religiosa della sadiqa e della khairat (Donazioni caritatevoli” volontarie), di origine sia estera -proveniente soprattutto dal Golfo Persico e in particolare dall’Arabia Saudita- che interna”.
Per approfondire il tema della devoluzione di ingenti finanziamenti alle scuole religiose con cui facoltosi protettori, interni o esterni al Paese, cercano di sponsorizzare un’interpretazione wahabita o salafita dell’Islam, tipica della Arabia saudita e dei paesi del golfo, si veda : Soldi, madrasa e jihad: il segreto di Pulcinella del Pakistan su Limes.
Negli ultimi 30 anni “il Pakistan è stato il Paese in cui le sette religiose sono state maggiormente strumentalizzate nello scontro politico interno ed internazionale. Come internazionalmente riconosciuto, il fondamentalismo che flagella il Paese è in buona parte il risultato della continua strumentalizzazione degli ulamā nella storia di questo Paese e del mancato riassorbimento dei mujaheddin formati lungo il confine afghano-pakistano ai tempi della jihad antisovietica. In quel particolare momento storico, una radicalizzazione religiosa fu, per varie ragioni, considerata utile e col supporto di altri fattori si rivelò vincente. L’instaurazione del regime talebano in Afghanistan, il peso crescente del fondamentalismo nella politica pakistana, il proliferare di forze antioccidentali che professano l’unità della nazione islamica, l’emergere di organizzazioni criminali e terroristiche attive in ogni dove, costituiscono gli effetti più evidenti non solo della sopravvivenza degli ideali professati dai mujaheddin e di un’offensiva portata ai vecchi partner, ma anche del radicamento degli ex-guerriglieri negli ambienti più influenti di molti Paesi e della loro capacità di produrre consenso”
Tutto quanto premesso non tutte le madrase, ma solo una minoranza non solo pakistana purtroppo sono incubatrici di un terrorismo internazionale.
Concludo con le parole di papa Francesco pronunciate durante la sua visita nel marzo 2021 a Mosul in Irak e nella zona di Nassiriya, devastate da attentati terroristici: «Dio è misericordioso e l’offesa più blasfema è profanare il suo nome odiando il fratello. Ostilità, estremismo e violenza non nascono da un animo religioso: sono tradimenti della religione. E noi credenti non possiamo tacere quando il terrorismo abusa della religione»
Nel novembre 2020, Papa Francesco aveva condannato attentati sanguinosi, pur guardandosi bene dall’etichettarli islamici. «I gravi attentati che hanno insanguinato l’Europa da Nizza a Vienna e la popolazione che li ha subiti sono nel pensiero e nella preghiera del Papa e sono deprecabili eventi che cercano di compromettere con la violenza e l’odio la collaborazione fraterna tra le religioni».
Nell’enciclica “Fratelli tutti” il papa autorevolmente scrive (n. 283) che: «Il culto a Dio, sincero e umile, porta non alla discriminazione, all’odio e alla violenza, ma al rispetto per la sacralità della vita, al rispetto per la dignità e la libertà degli altri e all’amorevole impegno per il benessere di tutti. In realtà, “chi non ama non ha conosciuto Dio, perché Dio è amore”» (1Gv 4,8)”