di Alessandro Clemenzia • «L’ecclesiologia è un ambito della teologia che a prima vista sembra aver poco a che fare con l’esperienza mistica» (Ioannis Zizioulas, Comunione e alterità, Lipa, Roma 2016, p. 329). Con questa asserzione, il teologo Zizioulas si introduce all’interno di un discorso dibattuto, complesso e di grande attualità che riguarda il rapporto tra due lemmi i quali, a primo acchito, sembrano essere quasi in contraddizione tra loro: ecclesiologia e mistica. Questa iniziale apparenza rischia di divenire sempre più un’evidenza se per “Chiesa” si intende esclusivamente un’organizzazione sociale umana, e per “mistica” un’esperienza straordinaria, inconsueta e individuale. Eppure, anche etimologicamente, il termine “mistico” (mysticos) deriva da un verbo (myo) che è la radice di un’altra parola , “misterion” (mysterion), la quale – nel suo riferimento a “il Mistero” (Cristo) – esprime l’essenza della realtà ecclesiale.
Quest’ultima, nella sua autocoscienza, si è compresa sin dagli inizi come “corpo di Cristo”, nozione che ha caratterizzato la riflessione ecclesiologica lungo i secoli, coniata da san Paolo in senso cristologico (il corpo del Risorto), ecclesiologico (la Chiesa come corpo di Cristo) ed eucaristico (il corpo “spezzato”). Dal secondo millennio si è cominciato a distinguere sempre più il significato delle tre accezioni, e il termine “mistico”, inserito nella formulazione “corpo di Cristo”, è stato usato esclusivamente in riferimento alla Chiesa. Questo restringimento di significato ha fatto sì che la parola “mistico” conoscesse da quel momento una risemantizzazione; scrive Zizioulas: «Tutto ciò presuppone che in ecclesiologia il termine “mistico” acquisisca un significato proprio» (p. 331).
Al di là di un riferimento prettamente etimologico e alla luce di tale immagine di Chiesa, ci si può domandare: di fronte a questa iniziale apparente contraddizione tra ecclesiologia e mistica, come comprendere in modo teologicamente più profondo e rigoroso il rapporto tra loro?
La parola “mistica”, soprattutto per come viene intesa il più delle volte, indica un tipo di relazione tra Dio e uomo così profonda da realizzare tra loro un’unità quasi confusa e indistinta. Ma l’unità che si realizza tra l’umano e il divino, secondo Zizioulas, deve trovare nella logica dell’insegnamento cristologico del Concilio di Calcedonia la sua condizione di possibilità: «Pertanto nel corpo di Cristo, secondo il suo significato cristologico, l’unione mistica sfocia non nella fusione, ma, al contrario, nell’alterità» (p. 337).
Per questa ragione l’immagine del corpo di Cristo, applicata alla Chiesa, porta a comprendere il rapporto tra Dio e uomo attraverso un’unità che afferma una più radicale alterità tra i due soggetti in relazione. In tale orizzonte di comprensione, parlare di “ecclesiologia mistica” significa affermare non un’accezione spiritualistica di Chiesa, ma una realtà che sia luogo di una piena e radicale distinzione tra il divino e l’umano. Dinamica questa, sottolinea Zizioulas, che trova senso soltanto attraverso il recupero, in ecclesiologia, di un discorso pneumatologico, il che implica a sua volta due dimensioni costitutivamente fondamentali: la comunione e la libertà.
Comunione. A partire da quanto è affermato nella Prima lettera ai Corinti (capitolo 12), non si può comprendere alcun dono personale di Dio all’infuori di un contesto comunitario; un carisma, infatti, non può mai essere preso e colto indipendentemente dalla realtà ecclesiale in cui è inserito. Si potrebbe affermare che ogni dono di Dio, prima ancora di essere rivolto al singolo io, ha a-priori un riferimento al noi: «La mistica spirituale è sempre ecclesiale e passa attraverso la comunità, non è mai un possesso individuale» (p. 339).
Libertà. Ciascun carisma personale, oltre ad avere una valenza comunitaria, è un dono di Dio, e in quanto tale presuppone sempre la libertà di colui che lo elargisce. Tale libertà divina si esprime e si dà nella storia non come qualcosa di automatico e naturale, ma come “evento”; la Chiesa è il frutto di un sempre nuovo libero atto di Dio nella storia dell’uomo: «Il corpo di Cristo è perciò edificato mediante il convergere di nuovi eventi, e non grazie alla conservazione o alla trasmissione di realtà storiche» (p. 340).
A partire da questi due “caratteri” è più facile comprendere il motivo per cui l’eucarestia può essere considerata come l’atto più mistico della Chiesa, in quanto è contemporaneamente comunione ed epiclesi, e dunque un evento comunitario sempre nuovo.
L’unione mistica, dunque, è espressione di un rapporto tra Dio e uomo che va compreso alla luce di Calcedonia, dove non vi è né confusione né divisione tra loro, ma un’unità che afferma alterità, e «la Chiesa come “corpo mistico” di Cristo è il luogo dove questa “unione mistica”, compresa in senso cristologico, è realizzata» (p. 353).