di Giovanni Pallanti • Il 2015 è stato il centenario del genocidio degli armeni perpetrato dai turchi.
Nell’Impero Ottomano nei primi anni del Novecento la nuova classe dirigente turca decise che non ci doveva essere posto per chi non era musulmano. Parlare di genocidio cento anni dopo rischia di diventare una specie di luogo comune. Si dice, nonostante le dure reazioni dell’attuale governo turco, che c’è stato un genocidio degli armeni e poi basta, come se la parola genocidio riuscisse a far comprendere ai giovani d’oggi quello di cui si tratta veramente.
Un libro di Valentina Vartui Karakhanian e di Omar Viganò “La Santa Sede e lo sterminio degli armeni nell’Impero Ottomano” con una prefazione di Antonia Arslan (Guerini e Associati Ed., 2016), ci aiuta ad entrare nello sterminio dei cristiani armeni attraverso i documenti dell’Archivio Segreto Vaticano e dell’Archivio Storico della Segreteria di Stato. Il protagonista assoluto di questa narrazione sulla tragedia di un popolo perseguitato per questioni religiose è un uomo intelligente, i cui rapporti diplomatici alla Santa Sede sono dei reportage talmente precisi nella descrizione dei fatti e dei personaggi, tali da lasciare pochi margini ai dubbi.
Il suo nome è Angelo Maria Dolci, Arcivescovo di Ierapoli, che giunse a Costantinopoli il primo dicembre 1914 in qualità di nuovo delegato apostolico in Turchia. Mons. Dolci aveva avuto già il medesimo incarico in Perù, Bolivia ed Ecuador. Era arrivato a Costantinopoli partendo da Roma “dopo sette giorni di penosissimo viaggio, avendo per quindici volte dovuto cambiar treno“. Questa missione di Mons. Dolci “in partibus infidelium” era di una particolare difficoltà e delicatezza. La Turchia era uno Stato in cui il sovrano, tra i vari titoli, contemplava anche quello di Monarca degli islamici (Califfo). Uno stato talmente vasto (l’Impero Ottomano) che ospitava sul suo grande territorio anche i luoghi santi alla cristianità in Palestina e diverse comunità cattoliche fino ad allora tollerate e mantenute in una fascia di sudditanza all’islamismo che gli faceva cittadini di una razza inferiore.
Nel primo decennio del Ventesimo Secolo circa un quinto della popolazione dell’Impero Ottomano era cattolico e cristiano. Gli armeni erano la parte preponderante di questa porzione di abitanti della nazione guidata dalla Sublime Porta. Quando comincia la persecuzione degli armeni Mons. Dolci, e il nostro libro ne dà ampia testimonianza documentaria, si schiera in difesa degli armeni cattolici e non contro la persecuzione ottomana. Le sue lettere al Cardinale Gasparri, Segretario di Stato Vaticano raccontano di violenze inaudite, di lunghe marce nel deserto senza alcuna meta, marce che l’esercito turco imponeva agli armeni, giovani e vecchi, per farli morire di fame e di fatica.
Un sistema di stermino ancora più crudele delle camere a gas che quasi trent’anni dopo sperimenterà la Germania Nazista contro gli ebrei. Mons. Dolci documenta anche come le donne armene vendessero i propri figli per pochi denari ai perversi soldati turchi. Per tentare di salvarli e per avere qualche soldo tra le mani per comprare qualche bene alimentare per non morire subito di fame. Siccome dal 1914 al 1918 la Turchia, alleata all’Impero Austroungarico e alla Germania dell’imperatore Guglielmo era in guerra contro le potenze dell’intesa (Russia, Francia, Inghilterra e Italia. Poi interverranno a favore di questo schieramento di Stati Uniti), combatteva una battaglia sul fronte interno contro gli armeni sotto la copertura degli eventi bellici internazionali, che giustificavano l’accusa di tradimento alla patria lanciata dai turchi contro gli stessi armeni. Le vittime della guerra interna erano gli armeni di ogni confessione cristiana. Alla fine si contarono un milione e mezzo di morti. Mons. Dolci intervenne più volte per chiedere che il Papa si occupasse direttamente della questione, cosa che Benedetto XV fece per tre volte ottenendo però modesti risultati. Mons. Dolci fece anche pressione sulla Germania e sull’Austria Ungheria perché intervenissero sulla Turchia per arrestare lo sterminio della popolazione armena. Invano. La Turchia ha una lunga tradizione di oppressione e di persecuzione di chi sta nei confini nazionali non essendo turco. Cento anni fa c’è stato il genocidio armeno, oggi la Turchia di Erdogan combatte l’Isis e al contempo i curdi, che per i turchi sono un problema da risolvere definitivamente, come lo fu il problema armeno. Un libro importante questo su “La Santa Sede e lo sterminio degli armeni nell’Impero Ottomano“, che documenta un periodo cruciale della storia euroasiatica, che sotto altre forme è ancora oggi molto attuale.