La festa dell’Esaltazione della Santa Croce

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di Francesco Vermigli • Nel cuore del mese di settembre (esattamente il 14) la Chiesa festeggia l’Esaltazione della Santa Croce. Si tratta di quella ricorrenza liturgica che rimanda al ritrovamento (in latino inventio) che sant’Elena, madre dell’imperatore Costantino, fece del patibolo del Golgota il 14 settembre 320. Tale festa fa riferimento anche al recupero della stessa croce ad opera dell’imperatore Eraclio nel 628, dopo che – in occasione della conquista di Gerusalemme – nel 614 i persiani se ne erano impadroniti. Da questa celebrazione sorge una serie di domande.

Innanzitutto, di che tipo di celebrazione si tratta? A ben vedere, l’Esaltazione si colloca in una posizione singolare. Ad una prima impressione, sembra di trovarsi davanti ad una di quelle che la liturgia chiama “feste d’idea”, cioè ricorrenze liturgiche non connesse in maniera immediata alla storia della salvezza; su tutte, la solennità della Santissima Trinità. Mi sembra sia da preferire pensare la nostra festa come una celebrazione che – se non ha un rimando immediato alla storia sacra – non per questo è una festa d’idea in senso stretto: come nel caso delle solennità del Corpus Domini o del Sacro Cuore, che hanno un rimando indiretto l’una al giovedì santo, l’altra al venerdì. Per quanto riguarda la nostra festa, allora, si potrebbe dire che essa è scaturita da un fatto storico ben preciso (l’inventio della croce da parte di sant’Elena), recando con sé il rimando indiretto ad un evento della storia della salvezza.

Ma a quale evento rimanda? La risposta a questa seconda domanda è presto detta: l’Esaltazione della Santa Croce rimanda al venerdì santo. Come nel caso del Corpus Domini – che non casualmente viene fatto cadere di giovedì, salvo l’ormai abituale spostamento alla domenica in ragione dell’opportunità pastorale – e come nel caso del Sacro Cuore – il venerdì successivo alla seconda domenica dopo Pentecoste – anche l’Esaltazione ha un riferimento ad un giorno preciso del Triduo; mostrando – allo stesso modo delle due solennità – un tratto particolare, rispetto a quello che caratterizza la celebrazione del giorno del Triduo a cui rimanda.

Qual è allora questo tratto particolare? Rispetto al giorno in cui ogni anno si ricorda la morte di Cristo, si direbbe che il tono della celebrazione dell’Esaltazione è più distaccato e maggiormente riflessivo; privo di quella cifra drammatica che innerva invece la celebrazione del venerdì santo. È vero che culmine di quella giornata è l’Azione Liturgica della Croce, al cui centro sta proprio l’Adorazione della Santa Croce. Ma essa viene a seguito della lettura della passione e morte di Gesù e della grande preghiera universale: vale a dire che – per quanto sia un momento spesso particolarmente calcato in senso emotivo nelle nostre chiese – quell’adorazione rientra in un contesto liturgico più generale, che accompagna il fedele a rivivere le ultime ore della vita terrena di Gesù e la sua morte. Ora, invece, siamo invitati a puntare lo sguardo direttamente sul patibolo; al modo degli israeliti che nel deserto venivano sanati dal morso dei serpenti, guardando il serpente di bronzo costruito da Mosè e posto sopra un’asta (prima lettura della messa del 14 settembre).

Resta un’ultima domanda ed è la più radicale. Dopo aver provato a mostrare a quale tipologia liturgica appartenga tale celebrazione, a quale evento della storia della salvezza essa rimandi – anche se in maniera indiretta – e dopo aver provato a ricostruire il tratto peculiare che la distingue dal venerdì santo, resta da rispondere a questa questione: per quale motivo la Chiesa celebra una festa di questo genere? Certo c’è una ragione storica che è all’origine di questa tradizione liturgica: le vicende di Elena ed Eraclio, che abbiamo ricordato.

Qual è però il significato liturgico che scaturisce da questa festa? Si potrebbe dire che nell’Esaltazione della Santa Croce la Chiesa offre al popolo di Dio il punto su cui concentrare la propria attenzione, un luogo su cui puntare il proprio sguardo spirituale. Ma non potremmo far convergere i nostri occhi e i nostri cuori sulla croce, se la croce non fosse segno di qualcosa di ulteriore: essa non ha un significato in sé, lo riceve dal fatto di aver portato il Redentore. Si tratta di un valore derivato, che la croce prende dall’essere stato il luogo su cui la missione terrena di Cristo ha trovato il proprio compimento.

Tutto questo spiega anche quel carattere trionfale che è insito nell’idea dell’esaltazione con cui è conosciuta tale festa: si deve innalzare la croce perché è il luogo da cui si diffonde la salvezza del mondo. Nell’omiletica che si spande dai pulpiti in questa giornata, spesso si usa l’immagine della croce come il trono da cui regna Gesù. Si tratta di un’immagine in ultima analisi corretta, ma che non deve far passare l’idea che – se si parla di trionfo della croce, di innalzamento, di esaltazione – tutto questo è possibile perché la croce è il culmine della vita di Cristo, nella quale Egli ha manifestato l’obbedienza alla propria missione di salvezza.

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Francesco Vermigli

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