“Giovani dentro”. Ragazzi e ragazze nel sistema carcerario minorile italiano
di Stefano Liccioli – Mi è capitato, recentemente, di moderare una tavola rotonda incentrata sul tema del sistema carcerario minorile italiano. Un’occasione per “portare alla luce” i ragazzi e le ragazze che vi sono detenuti e che corrono costantemente il rischio di essere degli invisibili nella nostra società. Secondo le ultime stime del ministero della Giustizia si tratta di poco più di quattrocento giovani reclusi in sedici istituti penali a loro riservati.
A dare una sorta di popolarità al mondo del carcere minorile ci ha pensato la serie tv “Mare fuori” (andata in onda per la prima volta nel 2020) che ha riscosso una grande successo di pubblico raccontando le storie di alcuni ragazzi e ragazze all’interno di un penitenziario di Napoli. Ben venga che il grande pubblico, grazie anche ai media, s’interessi a questo argomento, ma la fiction è, appunto, finzione e la realtà è un’altra cosa. E la realtà ci dice che, purtroppo, il nostro sistema carcerario non riesce a proporre percorsi che tengano fede a quello che le pene dovrebbero fare: non solo la reclusione, ma anche la riabilitazione dei detenuti, in particolare dei giovani detenuti che più di altro avrebbero il diritto di sognare un futuro diverso.
Certo, parafrasando Sant’Agostino, “colui che ha fatto te senza di te, non salva te senza di te”: occorre, prima di tutto, una reale volontà di cambiamento da parte del diretto interessato. Qualora questa ci sia, però, è necessario che venga intercettata da delle proposte educative che diminuiscano sensibilmente i casi di recidiva.
Durante la tavola rotonda sono stati citati dei numeri e delle percentuali che, senza entrare nello specifico, in sostanza testimoniavano che quando il reinserimento nella società è preparato in carcere ed accompagnato una volta usciti dai penitenziari, i casi di ricaduta nei reati diminuisce sensibilmente. Questo vale per gli adulti, ma anche per i minorenni.
La nostra società non può non investire risorse finanziare ed umani nei percorsi di riabilitazione dei detenuti, in particolari di quelli più giovani che hanno tutta la vita davanti. Si tratta di una questione di civiltà e di giustizia perché nessuno, mai, coincide con gli errori commessi. E’ sacrosanto il diritto delle vittime di un reato di avere giustizia, ma questa è veramente tale se permette a chi ha sbagliato di non commettere più lo stesso errore e di cambiare vita. Anche così si combatte quella cultura dello scarto che spesso Papa Francesco denuncia.
Sarà per questo che il Santo Padre nei suoi dieci anni di Pontificato per ben due volte ha celebrato la Messa del Giovedì Santo nell’istituto penale per minori di “Casal del Marmo” in Roma: nel 2013, pochi giorni dopo la sua elezione a Papa, e nel 2023. Proprio quest’anno Bergoglio, durante l’omelia, ha affermato:«Gesù non si spaventa mai delle nostre debolezze, non si spaventa mai perché Lui ha già pagato, soltanto vuole accompagnarci, vuole prenderci per mano perché la vita non sia tanto dura per noi. Io farò lo stesso gesto di lavare i piedi, ma non è una cosa folcloristica, no. Pensiamo che è un gesto che annuncia come dobbiamo essere noi, uno con l’altro».