Giorgio La Pira e la «Pacem in terris»
In questi sessanta anni la riflessione e l’azione per la pace sono divenuti sempre più complessi e complicati, poiché le guerre, anche se spesso oscurate o dimenticate, non sono cessate, anzi sono proliferate ed accresciute fino ai giorni nostri con l’aggressione russa dell’Ucraina che vede il coinvolgimento di numerosi Stati.
Questa drammatica e pericolosa situazione bellica, che potrebbe avere come sbocco l’eventuale uso di armi nucleari, vede svilupparsi, sia pur con fatica, diverse iniziative di mediazione, non ultima quella della Santa Sede.
In tale contesto politico-diplomatico, che potrebbe apparire, paradossalmente, speranzoso e disperato, mi piace ripresentare il commento di Giorgio La Pira, all’epoca sindaco di Firenze, sulla «Pacem in terris».
La seconda idea, che La Pira definiva «profetica» e storica, era dovuta alla constatazione del fatto che il genere umano era entrato in una stagione totalmente nuova e di dimensioni sconfinate. La guerra – continuava – La Pira era fisicamente impossibile, sotto pena della distruzione stessa della terra. Pertanto il negoziato, il disarmo sono inevitabili, anzi, provvidenzialmente, non sussiste alternativa al negoziato e alla pace.
La terza idea partiva dalla considerazione che la nuova casa mondiale dei popoli per essere ben costruita e attraversare in pace i secoli ed ospitare in pace le generazioni, era necessario che poggiasse sopra una roccia. La roccia infrangibile ed immutabile della natura umana: una natura ferita da peccato, ma sanata ed elevata dalla grazia e dalla gloria. In questa natura umana – aggiungeva La Pira – e nelle sue leggi immutabili, si radicano in tutti i tempi e per tutti i popoli i diritti ed i doveri essenziali tanto della persona quanto della società. La nuova casa mondiale – ribadiva La Pira – doveva essere costruita sulla roccia della natura umana e non sulla sabbia delle ideologie.
Dopo sessant’anni dalla «Pacem in terris» forse abbiamo cominciato ad edificare, ma di certo dobbiamo continuare.