L’Unione Europea a sessanta anni dalla firma dei Trattati di Roma del 1957

520 410 Francesco Romano
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1409662393_indipendentismi1-600x335di Francesco Romano • Oggi la parola “Europa” nell’immaginario collettivo evoca immediatamente la radice di tutti i nostri mali. A essa viene associata la percezione di una tendenziale chiusura degli Stati nazionali nella salvaguardia del proprio interesse particolare, dopo significativi progressi raggiunti come la libera circolazione delle persone e delle merci, ma anche dopo infinite discussioni sulle regole del mercato, specie per i generi alimentari, i prodotti agricoli, il latte, gli scambi commerciali, ecc. In tutto questo ha giocato un ruolo determinante la lunga crisi economica e le diverse velocità con cui oggi non poche nazioni europee arrancano nel tentativo di salvaguardare il proprio benessere, seppure precario, che ovunque ormai da segni preoccupanti di instabilità. L’euroscetticismo è entrato come dubbio corrosivo nel modo di vedere anche della gente comune, ulteriormente influenzata da alcuni orientamenti politici che guardano con simpatia al recente modello “Brexit”. Purtroppo, proprio dalla Gran Bretagna già giungono notizie di chiusura e discriminazione verso cittadini europei che cercano casa e lavoro, soprattutto se privi di cittadinanza, nonostante le parole rassicuranti del primo ministro Theresa May pronunciate lo scorso 22 settembre a Firenze sull’uscita della Gran Bretagna dall’Unione Europea. Da molti anni si è aggiunta anche la pressione di una moltitudine di migranti che giungono da varie parti del mondo premendo alle porte dell’Europa, mentre alcuni Stati europei si affrettano a chiudere le frontiere ricorrendo in certi casi anche a mezzi militari, spesso a scopo dimostrativo, e a lasciare isolati nel soccorso e nell’accoglienza quei pochi paesi loro vicini che hanno per confine migliaia di chilometri di mare.

Tutto questo accade nella celebrazione del sessantesimo dei Trattati di Roma che ricorre proprio quest’anno. L’Europa ha conosciuto tempi di gran lunga peggiori dei nostri, ma per merito di personalità illuminate, pur con orientamenti politici distanti, ha saputo farsi guidare dai valori costitutivi della sua radice identitaria e trovare punti di convergenza anche tra posizioni distanti.

Quando ancora l’Europa stava soffrendo per le conseguenze del secondo conflitto mondiale, iniziava ad aprirsi uno spiraglio che tornava a dare fiducia incoraggiandola a fare un cammino condiviso. Il 18 aprile 1951 a Parigi i governi di Francia, Germania Ovest, Italia, Belgio, Paesi Bassi e Lussemburgo istituirono la CECA, la Comunità Europea del Carbone e dell’Acciaio con l’intento di realizzare un progetto federalista, sovranazionale. Figura di rilievo fu il ministro degli Esteri francese Robert Schuman che vedeva nella condivisione delle risorse minerarie e industriali della Francia e della Germania la possibilità di evitare il ripetersi, almeno in Europa, delle stesse cause che avevano portato al secondo conflitto mondiale. Proprio sessant’anni fa, il 25 marzo 1957, a Roma si ritrovarono in Campidoglio i rappresentanti degli stessi governi per istituire la Comunità Economica Europea (CEE) e la Comunità Europea dell’Energia Atomica (Euratom). I due trattati, chiamati Trattati di Roma, furono poi ratificati dai rispettivi parlamenti.

Con il trattato che istituì la CEE l’Europa dette vita a un organismo con ruolo prevalentemente economico per favorire la crescita dei paesi che vi aderirono. In particolare furono aboliti i dazi doganali tra gli Stati membri dando vita a un mercato unico. Il trattato che istituì l’Euratom si prefiggeva di coordinare i programmi di ricerca sull’energia nucleare e soprattutto di utilizzarla a scopi pacifici.

Nel 1992 il trattato di Maastricht sostituì il trattato di Roma che aveva istituito la CEE e stabilì le regole e i parametri economici per l’adesione di altri paesi. Istituì un sistema europeo di banche (SEBC) che comprende la Banca Centrale Europea (BCE) e le banche centrali nazionali con il compito di emettere la moneta unica e occuparsi di politica monetaria con particolare riferimento alla stabilità dei prezzi.

Una grande occasione che l’Europa non ha saputo cogliere è stato il progetto di una costituzione europea siglata a Roma il 29 ottobre 2004, ma senza mai aver visto la luce per l’esito negativo del referendum del 2005 riportato dalla Francia e dall’Olanda.
Successivamente il 13 dicembre 2007 il trattato di Lisbona, sottoscritto da ventisette Stati membri, modifica il Trattato di Maastricht sull’Unione Europea e il Trattato sulla Comunità Europea che, unificandoli, avrebbe dovuto sostituire. Il Trattato di Lisbona, che istituisce la Comunità Europea con personalità giuridica, recepisce in gran parte la mancata Costituzione europea. Tra le altre cose viene creata la figura del presidente permanente del Consiglio europeo e introdotta la clausola di recesso prevista dall’art. 50 che regola la possibilità di uscire dall’Unione Europea.

Da oltre sessanta anni si parla di Unione Europea, ma non sempre è stato fatto lo sforzo di coltivarla cercando di favorire nelle relazioni tra gli stati un rapporto dinamico finalizzato a riconoscere e approfondire i valori e i principi che sono alla base del processo di unificazione europea. E’ innegabile che l’esperienza di questi decenni sia contrassegnata anche dallo sviluppo della Comunità Europea, per esempio per quanto riguarda le attività economiche, il livello di protezione sociale, la dignità umana. Su queste basi l’Europa ha potuto aiutare la propria crescita e consolidare la democrazia con la vittoria sulle dittature e l’adesione di nuovi popoli. Tuttavia, l’elemento più tangibile e fonte di speranza per il futuro è stato senz’altro il valore condiviso e irrinunciabile della pace.

Con uno sguardo positivo non possiamo sottovalutare che il Trattato di Maastricht aveva dato risultati anche apprezzabili, questa volta non di natura burocratica, favorendo l’avvicinamento tra i popoli con il concetto di cittadinanza europea senza venire meno quella nazionale. Grande successo hanno avuto i programmi di scambio tra studenti come l’Erasmus che ha coinvolto la comunità universitaria transnazionale riportandoci con la memoria ai tempi del cristianesimo medievale e del Rinascimento.

Il Trattato che istituisce la Comunità Europea si fonda su valori fondamentali. Al primo posto vi è la solidarietà tra i popoli nel rispetto della storia, della cultura e delle tradizioni. La diversità viene percepita come arricchimento. Il principio di sussidiarietà stabilisce che le decisioni vengono prese nel massimo accordo con i cittadini, mentre la Comunità interviene soltanto quando gli obiettivi dell’azione prevista non possono essere sufficientemente realizzati dagli Stati membri. Un altro valore è la possibilità di permettere ad alcuni Stati membri di progredire a velocità diverse, di non dover percorrere strade sfavorevoli, ma di poter perseguire politiche positive nel proprio interesse come principio cardine per favorire l’integrazione. Il principio di solidarietà fin dall’inizio è al centro della costruzione dell’Europa che guarda a politiche economiche, ma anche sociali. Mentre la maggior parte della legislazione sociale resta di competenza nazionale, si è assistito a una linea di modernizzazione dei vari modelli sociali europei come l’uguaglianza tra uomo e donna, la salute, la sicurezza sui luoghi di lavoro, i permessi di maternità ecc. Il Trattato costituzionale presenta anche la solidarietà nei vari aspetti della politica sociale, per esempio la solidarietà tra gli Stati membri in caso di attacchi terroristici o calamità naturali. Infine l’Unione Europea promuove la solidarietà anche con il resto del mondo.

A questo dato di fatto si affianca però la preoccupazione di non riflettere abbastanza sulle ragioni e sui valori che hanno favorito in Europa l’affermarsi del processo di pace più lungo che sia mai stato conosciuto. Guardare alla pace non significa semplicemente prendere atto dell’assenza di guerra grazie all’Unione Europea. Questa sarebbe una visione meccanicistica come se la pace fosse un dato scontato. Si tratta invece di riconoscere e proclamare i valori di fondo che avvicinano popoli di culture certamente diverse, ma non tanto lontane tra loro. L’esperienza di questi anni porta ad affermare che il processo di integrazione europea non è un’operazione tecnocratica che possa favorire l’incontro di modelli sociali e culturali. Espressione di questa impostazione è stato il fallimento del progetto di Costituzione europea che nel 2005 non riuscì a superare il referendum aprendo la strada alla corrente cosìddetta euroscettica. Un altro punto di debolezza rispetto allo spirito dei padri fondatori è di aver privilegiato il metodo intergovernativo che guarda agli interessi nazionali, rispetto al metodo comunitario che mette al centro la solidarietà tra le persone e il perseguimento del bene comune allontanando le derive nazionaliste e populiste.

E’ importante ricordare le meditazioni di Giovanni Paolo II in occasione degli “Angelus” nei mesi di luglio agosto 2003, quindi in prossimità del fallito progetto di Costituzione europea. Il 17 agosto del 2003 il Papa esortava l’Europa a recuperare la forza unificante del cristianesimo che ha saputo integrare tra loro diversi popoli e culture, inoltre “il processo di allargamento dell’Unione Europea ad altri paesi non può riguardare unicamente aspetti geografici ed economici, ma deve tradursi in una rinnovata concordia di valori da esprimersi nel diritto e nella vita”. Nell’esortazione del 24 agosto 2003 il Papa rivendica per il Trattato le radici cristiane dell’Europa quale principale garanzia per il futuro, mentre un buon ordinamento della società deve radicarsi in autentici valori etici e civili, il più possibile condivisi dai cittadini.

Parlare di radici cristiane dell’Europa non significa fare una scelta confessionale come principio ispiratore, bensì ricordarsi anche della storia che riguarda la fondazione dell’Europa, soprattutto a partire dall’Italia, come tradizione che si forma durante il millennio dell’unità giuridica, per dirla con l’illustre studioso Francesco Calasso: “la Chiesa che dopo il crollo del mondo antico aveva accettato la lex romana come propria lex saeculi, accanto alla lex spiritualis ne era nato il connubio dell’utraque lex“. Da questo connubio con la legge ecclesiastica che si dirigeva a tutto l’orbe cattolico, la legge romana traeva le prime istanze ideali di universalità, alle quali forniva la base politica per la rinnovazione dell’Impero Romano d’Occidente. Il diritto giustinianeo, restituito dall’insegnamento di Irnerio della scuola di Bologna all’integrità originaria, si irradiò in gran parte d’Europa e oltre i confini dell’Europa romanza fino all’entrata in vigore delle codificazioni moderne, rappresentando il diritto comune, cioè l’unum ius dell’unum imperium, pur riconoscendo la validità di ciascun diritto particolare con la nascita degli stati nazionali. Il diritto canonico contribuì all’irradiazione del diritto comune in gran parte dell’Europa perché l’insegnamento del diritto canonico obbligava allo studio del diritto romano.

Quindi, l’Unione Europea non è nata per un caso del destino, ma risponde alle esigenze di molti popoli che si riconoscono uniti tra loro per la condivisione di una storia millenaria fatta di valori comuni come la dignità della persona umana, la pace, la tolleranza, il rispetto della sussidiarietà, la ricerca del bene comune. Valori che sono alla radice dell’identità europea e che per questo hanno potuto esprimersi a volte anche dopo un lungo travaglio durato molti secoli tra alleanze, conflitti, rivalità.

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Francesco Romano

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