Capitalismo, liberalismi sfrenati, liberalismi «sociali» e Cristianesimo
di Giovanni Campanella • Nel Maggio 2017, la Mimesis Edizioni ha pubblicato un libro di Salvatore Muscolino, docente di Filosofia Politica presso l’Università degli Studi di Palermo. Il libro è intitolato Libertà e mercato – Riflessioni su capitalismo, società e cristianesimo. Secondo Muscolino, alcuni elementi del Cristianesimo hanno contribuito per certi versi all’emersione del capitalismo. Tale questione non è però al centro del suo discorso. Ampio spazio viene dato all’analisi delle critiche al capitalismo e del loro contesto di provenienza. Successivamente, sono evidenziati alcuni aspetti positivi del capitalismo, attingendo a piene mani dalla tradizione liberale. Nel corso di tutto il libro, capitalismo e liberalismo sono sempre strettamente associati. Il liberalismo è declinato attentamente nelle sue varie correnti, alcune anche molto distanti fra loro.
La prima parte del libro è più prettamente filosofica e delinea le radici dell’attuale temperie culturale relativista e le sue critiche al capitalismo/liberalismo. Viene analizzato il mainstream post-strutturalista e il pensiero dei suoi principali esponenti, tra cui Michel Foucault e Jacques Derrida. Il post-strutturalismo ha contribuito a porre sotto accusa l’idea tradizionale di verità e il concetto di “universalismo”. La pratica decostruzionista di Derrida denuncia «ogni sistema di potere che, reprimendo le varie forme di alterità, impone significati chiusi, definitivi e assoluti» (p. 29). Altre critiche al capitalismo/liberalismo provengono dalla famosa Scuola di Francoforte, i cui più importanti esponenti sono passati in rassegna da Muscolino. In un percorso ancora più a ritroso, l’autore si concentra poi su alcuni elementi del pensiero di Weber e Marx.
Quando passa a parlare di Cristianesimo, Muscolino mutua alcune idee di Jaspers sull’effetto propulsore del periodo assiale nei confronti della storia umana ma, diversamente da Jaspers, individua l’origine di tale effetto propulsore negli anni di avvento del cristianesimo. Anche se è vero che la libertà dell’uomo comporta pericolose e continue ricadute – costituite ad esempio dai totalitarismi novecenteschi –, Muscolino scrive che «si deve al Cristianesimo un certo patrimonio di idee che hanno permesso la nascita del capitalismo, della scienza moderna e lo sviluppo di condizioni culturali favorevoli al sorgere di una cultura dei diritti centrati sulla persona umana» (p. 95). Tuttavia, l’anima liberale di Muscolino fa mostra di non sentirsi in piena sintonia col recente Magistero, che ha sottolineato (giustamente, aggiungo io) la primazia di certe istanze sociali sul capitalismo. In particolare, l’autore ammette esplicitamente di sentirsi a disagio di fronte all’uso dei concetti di “popolo” e “moltitudini” da parte dell’attuale Pontefice (p. 61). In realtà, questo manifesto disagio non si spiega un gran che, considerando che, nel proseguimento della trattazione, Muscolino dedica sempre più spazio a tematiche sociali e riconosce alcuni limiti del capitalismo.
All’acclamato criticismo di Thomas Piketty nel suo libro di successo Il capitale nel XXI secolo, il nostro autore contrappone l’analisi pacata di Angus Deaton, il quale osserva che, nonostante la permanenza di alcune gravi disuguaglianze, il sistema capitalistico ha contribuito considerevolmente a diminuire povertà e mortalità globali in termini assoluti. Ciò è visibile ad esempio in Cina e India. Lo stesso concetto di disuguaglianza ha bisogno di una previa attenta inquadratura. Giovandosi di alcune riflessioni del filosofo Harry G. Frankfurt, Muscolino scrive:
«Nonostante l’attrattiva morale dell’egualitarismo sia molto forte e carica anche di una componente emotivo-retorica non trascurabile, l’eguaglianza economica, spiega chiaramente Frankfurt, non può costituire la nostra ambizione primaria perché il vero problema morale non è che tutti abbiano lo stesso ma che tutti abbiano abbastanza. “Abbastanza” significa che ogni uomo deve poter condurre una “vita buona” in sé a prescindere dal confronto con gli altri» (p. 111).
Verso la fine del libro, l’autore opera un’importantissima distinzione all’interno del neoliberalismo. Fra le varie anime che trovano spazio al suo interno, le più famose sono tre: la Scuola austriaca (fra i cui membri spicca Friedrich August Von Hayek, Nobel per l’economia nel 1974), la Scuola di Chicago e l’Ordoliberalismo (fra i suoi maggiori esponenti figura Wilhelm Röpke). Tutte muovono dall’individualismo metodologico e difendono il libero mercato ma ognuna ha visioni proprie del mercato. A differenza delle altre correnti, l’Ordoliberalismo riconosce un importante ruolo regolatore allo Stato e un decisivo ruolo propulsore al Cristianesimo. Col passare del tempo l’Ordoliberalismo è stato marginalizzato mentre la Scuola di Chicago ha prevalso, favorendo una gestione tecnocratica del mercato.
Anche riguardo ai limiti del capitalismo e riguardo al rapporto tra liberalismi e Cristianesimo, Muscolino ha alcuni spunti interessanti. Afferma che il cattolico-liberale non divinizza il mercato trasformandolo in fine in sé. Difendere la libertà di iniziativa, la libertà di concorrenza e la libertà di prezzo può pacificamente accompagnarsi al sostenere la necessità di una cornice sociale, morale e culturale adeguata. Muscolino ammette che il capitalismo non è un sistema perfetto: il capitalismo può portare a conseguenze negative, come la disoccupazione e la marginalizzazione di coloro che non riescono a “stare” sul mercato. Inserendo nel suo discorso anche la posizione della Chiesa, il nostro autore ritiene che tale posizione non si oppone alla tradizione del liberalismo classico:
«Da parte sua la Chiesa ha da sempre avuto chiaro che il sistema capitalistico può essere strutturato in molti modi e per questa ragione ha insistito sulla dimensione sociale del mercato nel senso che la società nel suo insieme ha il dovere morale di occuparsi della tutela di tutte quelle categorie di persone che versano in uno stato di sofferenza morale e/o materiale momentaneo o prolungato nel tempo.
Questa sensibilità non è in contraddizione con la tradizione del liberalismo classico. Un autore come Hayek, per esempio, riconosce esplicitamente la necessità che nella società del benessere questo ruolo “sociale” non venga meno: malati, disabili, vedove, orfani e tutti coloro che vivono ai margini del mercato devono essere oggetto di adeguate politiche governative che suppliscano il ruolo di “tutela” che nelle società premoderne era svolto dai legami di parentela.
Affidare allo Stato questi compiti non significa affatto “correggere” o, peggio, “interferire” con la logica del mercato in nome di una generica “giustizia sociale” che preveda, per esempio, un certo standard di beni primari da attribuire a tutti i cittadini. Se, come ho già ricordato, Hayek mostra scetticismo nei confronti di una concezione di questo tipo, al tempo stesso, però, egli mostra la chiara consapevolezza della necessità di una cornice morale più ampia perché la società aperta possa funzionare correttamente. Il mercato d’altra parte è una realtà che evolve “spontaneamente” ma che non è priva di forme di regolamentazione anche da parte del potere politico.
Questo aspetto è ancora più marcato nella tradizione dell’economia sociale di mercato tedesca. In William Röpke, per esempio, non solo è cruciale l’obbligo morale di aiutare gli ultimi, ma si sottolinea il fatto che il mercato stesso può funzionare pienamente soltanto in presenza di una cornice morale e spirituale ben precisa» (pp 152-153).