Sulla riforma del Credito Cooperativo
di Leonardo Salutati • Il Credito cooperativo in Italia registra un patrimonio di 376 Banche di credito cooperativo, tra le più patrimonializzate del sistema. Opera in 2.700 comuni e in 570 di essi è l’unica presenza bancaria. Registra 4.400 sportelli e 37mila addetti. Dà credito ed ascolto ad oltre 7 milioni di clienti favorendo al tempo stesso educazione finanziaria (uso responsabile del denaro) ed inclusione sociale. Con un milione abbondante di soci, principalmente piccoli operatori d’impresa e famiglie, 163 miliardi di risparmio italiano intermediato, 135 miliardi di credito all’economia italiana, rappresenta un decimo del sistema bancario nazionale, diffuso orizzontalmente e capillarmente in tutti i territori.
È uno dei più grandi “corpi intermedi” della società italiana, vecchio quasi quanto lo Stato unitario e depositario di forti valori economico-sociali come la mutualità e la sussidiarietà: fra persone, fra imprese, fra comunità e territori. In tutte le regioni, nessuna esclusa.
La cooperazione è una realtà che è sempre stata al centro delle attenzioni del Magistero sociale della Chiesa che l’ha sempre favorita e promossa, se non addirittura originata, a cominciare da Leone XIII fino a Paolo VI, Benedetto XVI e lo stesso Papa Francesco che, recentemente, incontrando il personale della Banca di Credito Cooperativo di Roma, ricordava come: «Alle origini di molte di esse (le cooperative) ci sono dei sacerdoti, dei fedeli laici impegnati, delle comunità animate dallo spirito di solidarietà cristiana». E se la prima Cassa Rurale italiana viene costituita nel 1883 a Loreggia, in provincia di Padova, a opera di Leone Wollemborg, sul modello di quanto già era nato in Germania favorito da motivazioni etiche di ispirazione cristiana, sarà un giovane sacerdote, don Luigi Cerutti, nel 1890 a fondare a Gambarare, in provincia di Venezia, la prima Cassa Rurale Cattolica. Nel 1891 l’enciclica “Rerum Novarum” di papa Leone XIII, sollecitando i cattolici all’azione sociale, a forme di tipo solidaristico per vincere la solitudine dei più poveri, diviene il manifesto dell’ampio, diffuso movimento cooperativo cattolico. Da quel momento in poi, l’opera delle Casse entra ufficialmente nel campo cattolico nell’intento anche di rispondere alla necessità registrata da Rerum Novarum di contrastare l’usura divoratrice. Nel contempo l’economista cattolico Giuseppe Toniolo legittima, su base scientifica, il fatto che all’interno dell’unità produttiva il capitale si ponga al servizio del lavoro.
Questa eredità induce a guardare con attenzione alla riforma, ormai in dirittura di arrivo, del credito cooperativo, “raccomandata” dall’Unione Europea al Governo italiano per il 2015, al quale è stato chiesto di rivedere e reinventare la storica autonomia delle singole Banche di Credito Cooperativo, per prevenire rischi di singole crisi, inevitabilmente più alti oggi con aziende di piccola dimensione e talora troppo solitarie nel governo societario. L’Esecutivo italiano, alla luce della regolamentazione dell’Unione Europea che continua a rispettare il credito cooperativo come unica eccezione complementare al modello-base di banca impresa orientata al profitto, ha scelto di non imporre autoritativamente il cambiamento alle Bcc. Infatti, diversamente da quanto invece è avvenuto per le grandi Banche Popolari obbligate a trasformarsi in Spa, il Governo ha lasciato spazio al confronto operativo in vista della riforma fra le Bcc e la loro Federazione e la Banca d’Italia, che ha potuto esercitare appieno i poteri di supervisione domestica, lasciati dall’Unione bancaria alle authority nazionali, con l’obiettivo dichiarato che le banche di credito cooperativo possano continuare a sostenere territori e comunità locali preservando lo spirito mutualistico che le contraddistingue.
È un esempio di come l’ispirazione del Magistero sociale della Chiesa possa incidere nella società, radicandosi in uno degli ambiti tra i più importanti della vita quotidiana, per portare frutti di solidarietà e giustizia.