di Andrea Drigani • La normativa canonica universale, sia quella della Chiesa latina che delle Chiese orientali cattoliche, ci ricorda che i «fedeli» sono coloro che hanno ricevuto il Battesimo e per questo sono incorporati a Cristo e costituiti in popolo di Dio (can.204 § 1 CIC; can.7 § 1 CCEO). Si rammenta, inoltre, che i «fedeli» sono tenuti all’obbligo di conservare sempre, anche nel loro modo di agire, la comunione con la Chiesa, adempiendo con grande diligenza i doveri cui sono tenuti sia nei confronti della Chiesa universale, sia nei confronti della Chiesa particolare alla quale appartengono (can.209 CIC; can.12 CCEO). Viene precisato, poi, che sono nella piena comunione della Chiesa cattolica quei battezzati che sono congiunti con Cristo nella sua compagine visibile, ossia mediante i vincoli della professione di fede, dei sacramenti e del governo ecclesiastico (can.205 CIC; can.8 CCEO). L’appartenenza è la partecipazione o la dipendenza attiva nei confronti di una comunità, gruppo, o associazione. Sorge una questione: chi fa parte della Chiesa, Corpo mistico di Cristo, può far parte di qualsivoglia altro corpo sociale? La domanda non attiene alle associazioni di «fedeli» che sono previste dalla legge ecclesiastica (cann.298-329 CIC; cann.573-583 CCEO), bensì alle associazioni esistenti nella società civile. Ogni associazione, da un punto di vista fenomenologico, si caratterizza oltre che per le finalità statutarie, da perseguire, anche dal vincolo di solidarietà tra i soci nonché dal proprio ordinamento gerarchico. Il legame associativo e l’organizzazione disciplinare interna hanno forme e gradualità assai diverse, in riferimento ad una minore o maggiore cogenza. La Costituzione della Repubblica Italiana all’art. 18 dichiara: «I cittadini hanno diritto di associarsi liberamente, senza autorizzazione, per fini che non sono vietati ai singoli dalla legge penale. Sono proibite le associazioni segrete e quelle che perseguono, anche indirettamente, scopo politici mediante organizzazioni di carattere militare». Tre, dunque, sono i limiti che il Costituente pone al diritto di associazione: le finalità delittuose, la segretezza, l’azione paramilitare. Sulla segretezza, che contrasta con l’esigenza essenziale, in quanto connaturata all’assetto democratico, della pubblicità, è intervenuta la Legge 25 gennaio 1982 n.17 «Norme di attuazione dell’articolo 18 della Costituzione in materia di associazioni segrete e scioglimento della associazione denominata Loggia P2». Secondo questa Legge sono da considerarsi associazioni segrete «quelle che, anche all’interno di associazioni palesi, occultano la loro esistenza ovvero tenendo segrete congiuntamente finalità e attività sociali ovvero rendendo sconosciuti, in tutto o in parte ed anche reciprocamente, i soci, svolgono attività diretta ad interferire sull’esercizio delle funzioni di organi costituzionali, di amministrazioni pubbliche, anche ad ordinamento autonomo, di enti pubblici non economici, nonché di servizi pubblici essenziali di interesse nazionale». La suprema autorità della Chiesa è intervenuta, più volte, sull’incompatibilità, da parte dei battezzati, di appartenere ad alcune associazioni. Si pensi alla Bolla «In eminenti» pubblicata il 28 aprile 1738 da Papa Clemente XII, alla quale sono poi seguiti, sullo stesso argomento, altri interventi pontifici. Nella Bolla «In eminenti» si prende atto dell’esistenza di società, circoli, assemblee generalmente col nome di massoni o sotto altra denominazione. In esse – scrive il Papa – uomini di tutte le religioni e sette si uniscono fra loro in uno stretto legame segreto secondo leggi ed usanze stabilite ed agiscono in pari tempo in comune, impegnandosi con un giuramento sulla Sacra Scrittura e sotto minaccia di gravi pene ad uno scrupoloso silenzio. Tenuto conto dei danni originati da tali associazioni non solo contro la pace dello Stato, ma anche contro la salvezza delle anime, il Papa comminava la scomunica per chi fosse iscritto a siffatte società o chi in qualunque modo le avesse favorite. La preoccupazione di Clemente XII non è rivolta soltanto alle teorie e ai riti delle società massoniche, che risultano essere una congerie di elementi illuministici ed esoterici completamente estranea alla dottrina cattolica, ma agli inquietanti vicoli di «osservanza» e di «fratellanza», ritenuti superiori all’obbedienza cristiana e alla carità verso tutti, aggravati, poi, dalla mancanza di avvertibilità sociale. La condanna di Clemente XII, reiterata dai suoi successori, fu inserita nel «Codex iuris canonici» del 1917, al can.2335, dove si prevedeva la scomunica per coloro che si iscrivevano alle sette massoniche o a qualsiasi genere di associazioni che macchinavano contro la Chiesa. Nel vigente «Codex iuris canonici», promulgato nel 1983, al can.1374 si stabilisce che colui che appartiene ad un’associazione che macchina contro la Chiesa sia punito con giusta pena. Come si può notare è scomparso l’esplicito riferimento alle logge massoniche, ma ciò è dovuto al criterio redazionale del «Codex» che ha scelto una dizione più ampia per includere tutte le associazioni che, sotto qualsiasi denominazione, macchinano contro la Chiesa, come del resto aveva già fatto Clemente XII. Ma oltre ai delitti canonici di chi aderisce ad associazioni, che cospirano contro la Chiesa o le cui dottrine portano all’apostasia o all’eresia (can.1364 § 1 CIC; can.1436 § 1 CCEO), vi può essere il grave peccato di chi obbedendo a vincoli pseudo-fraterni e pseudo-gerarchici viola la giustizia. Non si deve, infatti, mai dimenticare l’insegnamento di San Leone Magno: amare Dio è amare la giustizia.