La “buona scuola“ e l’umanesimo incompiuto o negato

scuola21di Antonio Lovascio Non sappiamo quanto il mondo della scuola stia seguendo la grande e corale riflessione sul “Nuovo Umanesimo”, tema del Convegno nazionale CEI del prossimo novembre. Eppure è stato chiamato ripetutamente in causa nel confronto che è in corso tra cattolici e laici sull’uomo di oggi: l’uomo vivo, l’uomo tutto occupato di sé, l’uomo che si fa soltanto centro di ogni interesse, ma osa dirsi principio e ragione di ogni realtà. Come aveva intuito Paolo VI e come successivamente più volte hanno messo in guardia – prima di Papa Francesco – Giovanni Paolo II, Benedetto XVI e , nel 1986, il poeta Mario Luzi in una memorabile meditazione fiorentina. L’urgenza di una missione educativa più incisiva viene evocata ripetutamente. Perché c’è bisogno di maggiore competenza e professionalità e meno pressappochismo. ” Occorre distruggere la voglia di percorrere scorciatoie, essendo in questo l’Italia ancora da premio Oscar”, come ha sottolineato nei giorni scorsi monsignor Nunzio Galantino.

Perché tutto ciò diventi storia quotidiana, che contribuisce alla crescita dell’umano, è necessario che la ricchezza di contenuti che caratterizza ogni insegnamento venga presentata con padronanza, in tutta la sua specificità, per essere accolta come espressione di uno sguardo significativo sull’uomo e sul mondo. Ogni scuola deve quindi essere protagonista nella costruzione del “Nuovo Umanesimo”. E per farlo deve operare in modo efficace e sinergico con le famiglie che le affidano i figli, vivendo come una comunità formata da molteplici figure.