A Cinquant’anni dalla “Ad Gentes” per una Chiesa sempre missionaria

147 225 Stefano Liccioli
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mision_ad_gentesdi Stefano Liccioli • Il mese di ottobre che la Chiesa ormai dalla fine degli anni Sessanta dedica alla missione universale, quest’anno ha un valore particolare perché ricorre il cinquantesimo anniversario dell’importante decreto sull’attività missionaria della Chiesa “Ad Gentes”. In questa sede mi limiterò a sottolineare alcuni aspetti di questo documento che nel Concilio Vaticano II ha offerto una nuova teologia missionaria. Già l’incipit è molto significativo:«La chiesa peregrinante per sua natura è missionaria, in quanto essa trae origine dalla missione del Figlio e dalla missione dello Spirito Santo, secondo il disegno di Dio Padre». La missione ecclesiale è così legata alla vita trinitaria stessa ed allo stesso tempo è connaturata al suo essere Chiesa. Chiesa che diffonde la fede salvatrice e rivela agli uomini la verità autentica della loro condizione. In questa opera sono coinvolti tutti i cristiani che, dovunque vivano, sono tenuti a testimoniare con la loro vita e con le loro parole «l’uomo nuovo, di cui sono stati rivestiti nel battesimo, e la forza dello Spirito Santo, da cui sono stati rinvigoriti nella cresima». Il compito di diffondere la fede riguarda qualsiasi discepolo di Cristo chiamato ad annunciare il Vangelo con la propria vita. In questo ottica le occasioni di tale annuncio sono date dal contesto familiare, quello lavorativo o di studio. Tutte situazioni in cui si può accogliere l’invito di Pietro a «rispondere a chiunque vi domandi ragione della speranza che è in voi. Tuttavia questo sia fatto con dolcezza e rispetto, con una retta coscienza (1 Pt 3,15-16a)». Il Vangelo non è dunque una Verità da brandire ed imporre agli altri, ma una Verità a cui si è a servizio e che deve essere proposta con carità e rispetto. Fatto salvo dunque l’impegno di tutti i cristiani a diffondere il Vangelo, la vocazione missionaria è anche una vocazione speciale di alcuni che sono chiamati dal Signore a predicare alle genti.

Il decreto in più passaggi sembra sottolineare che la diffusione della fede richiede il dovere di vivere una vita profondamente cristiana, una coerenza dunque tra il dire e l’essere:«Sarà appunto il loro fervore nel servizio di Dio, il loro amore verso il prossimo ad immettere come un soffio nuovo di spiritualità in tutta quanta la Chiesa, che apparirà allora come “un segno levato sulle nazioni” (155), come “la luce del mondo” (Mt 5,14) e “il sale della terra” (Mt 5,13)».

In un tempo come il nostro in cui si parla di nuova evangelizzazione non possiamo che partire da questi richiami dell’ “Ad gentes” a condurre una vita cristianamente autentica come presupposto per un annuncio credibile del messaggio cristiano. Non possono non venire in mente le parole dell’esortazione apostolica “Evangelii Nuntiandi” (1975) in cui Paolo VI afferma«L’uomo contemporaneo ascolta più volentieri i testimoni che i maestri o se ascolta i maestri lo fa perché sono dei testimoni».

Infine un riferimento al dialogo ecumenico. Ricorre nel decreto l’importanza dell’unità dei cristiani in ordine all’annuncio del Vangelo, quasi a voler mettere in evidenza quella preghiera di Gesù «perché tutti siano una sola cosa; come tu, Padre, sei in me e io in te, siano anch’essi in noi, perché il mondo creda che tu mi hai mandato» (Gv 17,21).

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Stefano Liccioli

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