«La Pira e la DC». Una riflessione di Giovanni Pallanti contro ogni strumentalizzazione.

180 281 Stefano Liccioli
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lapiradi Stefano Liccioli • Con il suo “La Pira e la DC” (edito in questo mese dalla Sef) Giovanni Pallanti ci offre una riflessione che ha i caratteri di una vera indagine storico-critica. Il tema su cui ruota l’analisi dell’autore è circoscritto e ben definito: il rapporto che La Pira ebbe con la Democrazia Cristiana dal 1946 al 1977, con un accento particolare per il periodo dal 1968 al 1977, gli anni in cui nacque e si sviluppò il rapporto d’amicizia dello stesso Pallanti e dei giovani democristiani con La Pira.

La chiave di lettura del libro è, a mio avviso, ben rappresentata dalla citazione di Hannah Arendt riportata nelle prime pagine, secondo cui ogni generazione ha il diritto di scrivere la propria storia, senza però alterare la materia fattuale. L’intento principale dell’autore credo infatti sia proprio quello di mettere in risalto il pericolo rappresentato da tutte quelle manipolazioni della narrazione storica che spesso vengono fatte per «il tornaconto di una classe dirigente, di un uomo o di una donna che vogliono il potere in tutti i modi possibili, compresa la menzogna». Di queste strumentalizzazioni una delle vittime rischia di essere stato (e forse lo è stato) anche Giorgio La Pira la cui ricostruzione biografica, come mette in luce Pallanti, diverse volte presenta delle omissioni: si dimentica spesso, ad esempio, che la Pira è stato eletto al Consiglio Comunale di Firenze ed al Parlamento per la Democrazia Cristiana. A riprova dell’appartenenza di La Pira alla vicende della Democrazia Cristiana viene riportato un messaggio che nel maggio del 1977 egli mandò in qualità di deputato DC a Giovanni Galloni, presidente del congresso provinciale della DC fiorentina. Ma soprattutto viene ricordato che La Pira nel 1976 «scelse consapevolmente di finire la sua esperienza di uomo pubblico accettando la candidatura alla Camera dei Deputati per la DC nel collegio di Firenze, Prato e Pistoia oltreché quella di candidato (ed eletto) a senatore della Repubblica nel collegio di Montevarchi». Per il ritorno di La Pira in Parlamento tra le fila del partito dello scudo crociato s’impegnarono molto lo stesso Pallanti ed i giovani democristiani fiorentini.

Sulle ragioni di certe omissioni da parte di «distratti curatori della vita politica del già sindaco di Firenze», Pallanti ha le idee chiare:«Sapendo che La Pira ha avuto un’importanza straordinaria come punto di riferimento ideale per uomini politici di tutto il mondo, hanno cercato, nascondendo la verità, di farlo diventare un politico “che apparteneva a tutti e a nessuno” e quindi facilmente strumentalizzabile».

La riflessione dell’autore, senza perdere il carattere storiografico, si arricchisce anche di ricordi personali dell’autore che rafforzano quanto viene affermato grazie ad una testimonianza diretta su certi avvenimenti.

Il testo di Pallanti oltre a consegnarci un spaccato della biografia di La Pira scevro da strumentalizzazioni e luoghi comuni, ha anche il merito di riportarci in un momento storico del nostro Paese e della nostra città animato da forti passioni politiche. Si raccontano di dibattiti (quello, ad esempio, tra Spadolini e La Pira durante la campagna elettorale referendaria sul divorzio del 1974) ed incontri, a volte anche non proprio pacifici.

Si fa riferimento a giovani (nella caso specifico quelli democristiani) animati da entusiasmo e passione per il dibattito politico. Sembra un mondo lontano a pensare alla difficoltà che hanno invece le nuove generazioni ad interessarsi della Cosa pubblica, a vedere la politica come un campo in cui valga la pensa impegnarsi. Forse una delle ragioni di questa disaffezione dei giovani dalla politica è anche la scarsità (per non dire la mancanza) di figure come quella del “Sindaco santo” che credono in ciò che dicono e vivono con coerenza gli altri principi che professano con le parole.

A quaranta anni dalla scomparsa di La Pira, avvenuta il 5 novembre del 1977, il libro di Giovanni Pallanti si presenta dunque come un contributo importante per guardare alla grande figura di Giorgio La Pira, senza deviazioni e strumentalizzazioni di comodo.

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Stefano Liccioli

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