di Carlo Nardi • «La gloria di Colui che tutto move \ per l’universo penetra e risplende \ in una parte più e meno altrove». Così Dante nelle prime parole del Paradiso (I,1-3) in un tripudio di luce e di magnificenza, qual è la ‘gloria’ biblica, kavod degli ebrei, doxa dei greci, Herrlichkeit nella bibbia di Lutero, da tradurre con ‘signorilità’. «In una parte più e meno altrove» giunge la gloria di Dio che permea tutte le cose in virtù del permanente atto creativo e soprattutto quando il regno di Dio e del suo Cristo sarà manifesto, anche nella materia che Dio fa sussistere.
È il pensiero implicito nelle misteriose parole dell’apostolo Paolo nella Lettera ai Romani circa la creazione che tutta quanta geme come nelle doglie del parto in attesa di manifestarsi appieno (8,19-22). Ne tentava una spiegazione sant’Ireneo (fine secondo secolo) a quanti, come gli gnostici, limitavano la salvezza umana a uno spirito evanescente, rifiutando di conseguenza la risurrezione della carne umana e, ancor più, la salvezza del mondo infraumano, la ‘carne’ della ‘madre materia’. Come per san Paolo, anche per Ireneo, «passa la figura di questo mondo» (1 Cor 7,31), ma, secondo quest’ultimo, «non viene annientata la sostanza della creazione», quando «vi sarà quel cielo nuovo e quella terra nuova (Is 65,17), novità nelle quali l’uomo perdurerà, sempre nuovo in compagnia di Dio» (Contro le eresie V,36,1; cf. 35,2-36,3).
Merita rileggere sant’Ireneo nel quarantesimo dalla morte di Giorgio La Pira, in quel “sabato senza vespro” nell’ottava di Tutti i santi del 1977, il 5 novembre. La Pira risulta in particolare sintonia con l’antico padre della Chiesa. Non solo. Come si esprime la Quarta preghiera eucaristica, «tutte le creature, liberate dalla corruzione del peccato e» dallo sfacelo «della morte», sono chiamate da Dio a esprimere un misterioso “canto” insieme alla creatura filiale, l’essere umano, redento e salvato in Cristo, a sua volta gloria del Padre. È un pensiero biblico, patristico, liturgico e dottrinale (Laudauto si’ 9) attinente alla gestazione del mondo che verrà. Il che è speranza cristiana che ravviva al contempo una contemplazione operosa e una operosità contemplativa. Difatti, intravedere in «quest’atomo opaco del Male» (Pascoli, X agosto), contro ogni aspettativa (spes contra spem, La Pira), un riflesso della magnificenza di Dio induce ad operare con fiducia, quella del Padre che continua a «ricapitolare tutte le cose in Cristo» (Ef 1,10). E il contemplare e l’operare comportano un lavoro ora faticoso ora fantasioso, ora deludente e avvilente ora entusiasmante e incoraggiante, e sempre congiunto alla fede per quel «granello di senapa» tuttora in crescita nel farsi albero pieno di foglie e di nidi cinguettanti, nel regno di Dio e del suo Cristo (Mt 13,31-32; Mc 4,30-32; Lc 13,18-19; cf. Vangelo di Tommaso 20).