di Alessandro Clemenzia • Quale stupore continua ancora oggi a colpire coloro che, praticanti o meno, si pongono dinnanzi al mistero della generazione di Dio: non tanto nel senso che sia Dio a generare, quanto che sia Dio ad essere generato. In questo evento, che ha radicalmente e ontologicamente sconvolto il modo di pensare Dio, un ruolo decisivo è ricoperto dalla figura di una donna, «nel cui grembo humilis si compie il primo atto della kénosi del Signore» (p. 7).
Da questo stupore Massimo Cacciari non fa mistero di essere stato colpito e, in qualche modo, anche afferrato. Nel suo ultimo libro, Generare Dio (il Mulino, 2017), egli introduce la sua riflessione a partire da alcune rappresentazioni grafiche di Maria.
È un libro che narra la meraviglia di un evento eternizzato e costantemente dinamicizzato dalle immagini. Siamo ben oltre a un compendio che vuole approfondire il rapporto tra teologia ed arte: si tratta invece di un respiro teologico che scaturisce da chi sa mettersi in ascolto della voce di una Realtà che non si sdegna, oggi come allora, di dirsi e di darsi attraverso le rappresentazioni grafiche. Le icone riescono ancora a rendere reale, in chi si pone innanzi a loro, ciò che illustrano, anche in occhi che non temono di definirsi “non credenti”.
Ma come può, per un filosofo come Cacciari, essere più importante l’icona di una speculazione concettuale? «Tra parola e immagine – egli spiega – non v’è mai alcun diretto rapporto “illustrativo”, e tuttavia, specialmente per questa figura [Maria], sembra sia l’icona a eccedere la parola, e sia semmai la parola a ridursi a illustrazione dell’icona» (pp. 10-11). Ed è proprio questo l’intento di Cacciari, «quello di una fenomenologia dell’invisibile nella rappresentazione sensibile di Maria» (p. 11).
Del saggio del nostro Autore vorrei mettere in luce principalmente due aspetti che egli fa ruotare attorno alla figura di Maria: il dubbio e l’ombra. A primo impatto sono entrambi due stati di imperfezione nella vita spirituale, se non addirittura espressione o conseguenza della chiusura del cuore dell’uomo all’azione di Dio. Eppure sia l’uno che l’altro diventano realtà decisive per delineare le caratteristiche di colei che ha portato nel grembo il figlio, o meglio: il Dio Figlio.
Partendo dall’immagine dell’Annunciazione e due santi di Simone Martini, collocata negli Uffizi di Firenze, Cacciari presenta l’opposto stato d’animo delle due figure centrali: «l’angelo la prega; la sua parola è un canto di omaggio e preghiera. La Vergine osserva, medita e dubita» (p. 19). Dubitare non significa prendere le distanze, ma testimoniare che «il Sì deve infatti sgorgare dalla sua più profonda meditazione» (p. 19). La ragazza di Nazareth deve scegliere di concepire Colui che l’ha scelta. E mentre Adamo ha preferito aderire al desiderio di essere libero, la fanciulla supera e oltrepassa la scelta del primo uomo, «non per scienza, ma per la potenza del suo ascolto. Concepisce ascoltando» (pp. 20-21). Il dubbio in lei non viene censurato o annullato, ma accolto e penetrato fino al suo culmine: ella «vince il dubbio, non lo annulla. Rinsalda la ricerca, dà voce all’interrogare, non lo elimina; lo rende, anzi, così esigente da durare fino all’ultimo giorno, fino all’éschaton» (p. 21).
Il dubbio, dunque, diventa per Maria il luogo per giungere a desiderare il desiderio di Dio, a volere la volontà di Dio: l’angelo non comanda niente a nessuno, è Maria, nel fondo del suo dubitare, a divenire credente e obbediente. L’obbedienza, infatti, nasce dall’esperienza di una libertà offerta.
Il secondo elemento è l’ombra: non quella della conoscenza – spiega Cacciari – che riesce a opporsi alla verità della cosa o, peggio, ad essere segno della corruttibilità della realtà (l’ombra di morte). «Una nube la cui ombra non è fonte di inganno e neppure soltanto oscura immagine della realtà vera, dell’eîdos, della forma incorruttibile» (p. 34). L’ombra è invece la manifestazione stessa di Dio, «è Lui come ombra nella forma dell’ombra» (p. 35). È l’onnipotenza di Dio a farsi ombra per rivelare in essa il suo splendore. L’ombra, infatti, è necessaria alla visibilità della luce, in quanto «la pura luce inghiottirebbe ogni apparire» (p. 37). E ancora, spiega Cacciari, «è per l’ombra che le cose assumono figura concreta, che il loro aspetto si definisce e si fa perciò possibile rappresentarle, dipingerle. Le cose sono all’ombra l’una dell’altra, si danno ombra reciprocamente col loro stesso esserci. La luce si incarna nell’ombra» (p. 37).
Questo Maria lo comprende pienamente: per questo si lascia penetrare da quest’ombra. Anzi, è proprio nell’umanità di Maria, all’ombra della giovane donna che la luce si fa carne. Contro ogni angelo luciferino che, pur portando sola luce, abbaglierebbe, l’ombra di Maria dispiega nel mondo la luce di Dio.
Così interpretati, il dubbio e l’ombra diventano momenti di grazia: il primo genera obbedienza, la seconda lascia che sia la luce a splendere senza abbagliare. Ciò che sembra imperfetto, debole e umano, per l’occhio della fede è il luogo dove Dio riesce a generare Dio nella creazione. Questo è anche lo sguardo di un filosofo che si dice “non credente”.