Benedetta azienda

san_benedetto_da_norcia_by_ielioidi Giovanni Campanella • La Mamma Editori, in collaborazione con la Comunità Marta Maria Società Cooperativa Sociale Agricola, ha stampato nell’Agosto 2017 un libro dal titolo Economia della salvezza o la salvezza dell’economia?. La prefazione è addirittura dell’abate primate Gregory J. Polan, presidente della confederazione di tutte le congregazioni benedettine nel mondo. Gli autori principali sono il monaco benedettino Roberto Ferrari e lo studioso Giuseppe Fina. Oltre a essere laureato in teologia e specializzato in teologia spirituale, Ferrari è perito aziendale, diplomato in leadership e management ed esperto di contabilità, bilanci e gestione e allocazione delle risorse. Fina è laureato in Economia e amministrazione delle aziende all’Università degli studi di Napoli “Parthenope” ed è attualmente impegnato nel Master in Account e Sales Management – Tecniche di gestione e negoziazione applicata alle vendite, presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore, a Milano. Ci sono poi altri piccoli contributi di Albarosa Raimondi (medico specialista in organizzazione ospedaliera), Simone Burlotti (giurista e consulente del lavoro) e Nico Azzolini (esperto in economia, direzione aziendale e diritto tributario internazionale).

Mi consolo riportando qualche idea interessante che lega Benedetto all’amministrazione aziendale. Eh sì, pare proprio che il nostro Benedetto, già nel V secolo, fosse davvero un gran manager. Burlotti scrive che

«San Benedetto ha guidato comunità di lavoratori – i monaci – tenendo lo sguardo fisso sulla creatura attraverso gli occhi del Creatore, e guardando al Datore di ogni bene, con gli occhi della creatura redenta, motivando ogni suo monaco/a facendolo sentire collaboratore di Dio ed assegnando a ciascuno un compito adatto alle proprie capacità, valorizzando l’obiettivo attraverso un percorso di crescita comunitario, che non esiterei in questa sede a definire la migliore strategia di Human Resource Management» (p. 13).

Ferrari comincia il suo contributo citando alcuni documenti molto pertinenti. Una lettera circolare della Congregazione per gli Istituti di Vita Consacrata e le Società di Vita Apostolica (CIVCSVA), risalente al 2 Agosto 2014 e intitolata Linee orientative per la gestione dei beni negli Istituti di vita consacrata e nelle Società di vita apostolica, esprime molto bene, ai numeri 5 e 6, il fine di tutta l’economia di un istituto religioso:

«La dimensione economica è intimamente connessa con la persona e la missione. Attraverso l’economia passano scelte molto importanti per la vita, nelle quali deve trasparire la testimonianza evangelica, attenta alle necessità dei fratelli e delle sorelle. L’attenzione alla dimensione evangelica dell’economia non deve, pertanto, essere trascurata nella dinamica formativa, in modo particolare nella preparazione di coloro che avranno responsabilità di governo e che dovranno gestire le strutture economiche in ordine ai principi di gratuità, fraternità e giustizia, ponendo le basi di un’economia evangelica di condivisione e di comunione. (…). Nell’essere dono , come consacrati, diamo il nostro vero contributo allo sviluppo economico, sociale e politico che, se vuole essere autenticamente umano, deve fare spazio al principio di gratuità come espressione di fraternità. Il dono per sua natura oltrepassa il merito, la sua regola è l’eccedenza» (pp. 17-18.

Già l’8 Marzo 2014, al Simposio Internazionale La gestione dei beni ecclesiastici degli Istituti di vita consacrata e delle Società di vita apostolica a servizio dell’humanum e della missione nella Chiesa, Papa Francesco invitava i partecipanti a coniugare «la prioritaria dimensione carismatico-spirituale alla dimensione economica e all’efficienza, che ha un suo proprio humus nella tradizione amministrativa degli Istituti che non tollera sprechi ed è attenta al buon utilizzo delle risorse» (p. 19). In un interessantissimo capitolo intitolato “La Regola di San Benedetto”, Ferrari cita alcuni rilevanti passi della Regola che danno un inquadramento dell’idea di amministrazione che San Benedetto aveva disegnato per i suoi monasteri. Per questione di spazio, riporterò soltanto un passaggio tratto dal numero 57 della Regula Benedicti:

«Se poi qualche prodotto del lavoro di tali artigiani si debba vendere, quelli che hanno l’incombenza di trattare la cosa siano cauti a non commettere alcuna frode: si ricordino sempre di Anania e Safira, perché la morte che questi subirono nel corpo, essi e tutti quelli che avranno defraudato le sostanze del monastero non abbiano a soffrirla nell’anima. Negli stessi prezzi poi non s’insuini il vizio della cupidigia, ma si venda sempre a prezzi un po’ inferiori a quelli correnti fra i secolari, perché in tutto sia glorificato Dio» (p. 32).