di Giovanni Campanella • La Mamma Editori, in collaborazione con la Comunità Marta Maria Società Cooperativa Sociale Agricola, ha stampato nell’Agosto 2017 un libro dal titolo Economia della salvezza o la salvezza dell’economia?. La prefazione è addirittura dell’abate primate Gregory J. Polan, presidente della confederazione di tutte le congregazioni benedettine nel mondo. Gli autori principali sono il monaco benedettino Roberto Ferrari e lo studioso Giuseppe Fina. Oltre a essere laureato in teologia e specializzato in teologia spirituale, Ferrari è perito aziendale, diplomato in leadership e management ed esperto di contabilità, bilanci e gestione e allocazione delle risorse. Fina è laureato in Economia e amministrazione delle aziende all’Università degli studi di Napoli “Parthenope” ed è attualmente impegnato nel Master in Account e Sales Management – Tecniche di gestione e negoziazione applicata alle vendite, presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore, a Milano. Ci sono poi altri piccoli contributi di Albarosa Raimondi (medico specialista in organizzazione ospedaliera), Simone Burlotti (giurista e consulente del lavoro) e Nico Azzolini (esperto in economia, direzione aziendale e diritto tributario internazionale).
Ciò che mi ha allettato è il sottotitolo del libro: Il modello delle PMI italiane, linee magisteriali, prassi, suggerimenti e prospettive per le comunità monastico-conventuali. Più precisamente, mi hanno “alluzzato” i temi che vanno da “linee magisteriali” in poi, in quanto abbastanza nuovi, soprattutto se applicati alle comunità monastico-conventuali. Le Piccole e Medie Imprese sono state invece studiate ampiamente, a fondo e in tutte le salse negli ultimi anni: la loro elevata presenza e rilevanza nel panorama economico italiano è ormai una nota caratteristica risaputa. Purtroppo i legami tra spunti tratti da San Benedetto da Norcia e l’amministrazione delle aziende sono affrontati solo fino a pagina 32 (segue poi una bibliografia di 20 pagine su collegamenti tra monachesimo ed economia ma anche su monachesimo in generale e morale economica in generale); qualche spunto interessante è presente anche nella piccola postfazione di Nico Azzolini. Da pagina 55 a pagina 159, Giuseppe Fina si profonde nell’analisi della storia e del modello delle PMI italiane con tanto di dati, grafici e tabelle, coronando il tutto con vivaci considerazioni personali di stampo liberale e facendo qualche riferimento su tratti del pensiero sociale cristiano. In queste pagine il tema monastico non sembra incluso, facendo in parte dei succitati titolo e sottotitolo un piccolo specchietto per le allodole (io sono tra queste allodole).
Mi consolo riportando qualche idea interessante che lega Benedetto all’amministrazione aziendale. Eh sì, pare proprio che il nostro Benedetto, già nel V secolo, fosse davvero un gran manager. Burlotti scrive che
«San Benedetto ha guidato comunità di lavoratori – i monaci – tenendo lo sguardo fisso sulla creatura attraverso gli occhi del Creatore, e guardando al Datore di ogni bene, con gli occhi della creatura redenta, motivando ogni suo monaco/a facendolo sentire collaboratore di Dio ed assegnando a ciascuno un compito adatto alle proprie capacità, valorizzando l’obiettivo attraverso un percorso di crescita comunitario, che non esiterei in questa sede a definire la migliore strategia di Human Resource Management» (p. 13).
Ferrari comincia il suo contributo citando alcuni documenti molto pertinenti. Una lettera circolare della Congregazione per gli Istituti di Vita Consacrata e le Società di Vita Apostolica (CIVCSVA), risalente al 2 Agosto 2014 e intitolata Linee orientative per la gestione dei beni negli Istituti di vita consacrata e nelle Società di vita apostolica, esprime molto bene, ai numeri 5 e 6, il fine di tutta l’economia di un istituto religioso:
«La dimensione economica è intimamente connessa con la persona e la missione. Attraverso l’economia passano scelte molto importanti per la vita, nelle quali deve trasparire la testimonianza evangelica, attenta alle necessità dei fratelli e delle sorelle. L’attenzione alla dimensione evangelica dell’economia non deve, pertanto, essere trascurata nella dinamica formativa, in modo particolare nella preparazione di coloro che avranno responsabilità di governo e che dovranno gestire le strutture economiche in ordine ai principi di gratuità, fraternità e giustizia, ponendo le basi di un’economia evangelica di condivisione e di comunione. (…). Nell’essere dono , come consacrati, diamo il nostro vero contributo allo sviluppo economico, sociale e politico che, se vuole essere autenticamente umano, deve fare spazio al principio di gratuità come espressione di fraternità. Il dono per sua natura oltrepassa il merito, la sua regola è l’eccedenza» (pp. 17-18.
Già l’8 Marzo 2014, al Simposio Internazionale La gestione dei beni ecclesiastici degli Istituti di vita consacrata e delle Società di vita apostolica a servizio dell’humanum e della missione nella Chiesa, Papa Francesco invitava i partecipanti a coniugare «la prioritaria dimensione carismatico-spirituale alla dimensione economica e all’efficienza, che ha un suo proprio humus nella tradizione amministrativa degli Istituti che non tollera sprechi ed è attenta al buon utilizzo delle risorse» (p. 19). In un interessantissimo capitolo intitolato “La Regola di San Benedetto”, Ferrari cita alcuni rilevanti passi della Regola che danno un inquadramento dell’idea di amministrazione che San Benedetto aveva disegnato per i suoi monasteri. Per questione di spazio, riporterò soltanto un passaggio tratto dal numero 57 della Regula Benedicti:
«Se poi qualche prodotto del lavoro di tali artigiani si debba vendere, quelli che hanno l’incombenza di trattare la cosa siano cauti a non commettere alcuna frode: si ricordino sempre di Anania e Safira, perché la morte che questi subirono nel corpo, essi e tutti quelli che avranno defraudato le sostanze del monastero non abbiano a soffrirla nell’anima. Negli stessi prezzi poi non s’insuini il vizio della cupidigia, ma si venda sempre a prezzi un po’ inferiori a quelli correnti fra i secolari, perché in tutto sia glorificato Dio» (p. 32).
Nella piccola postfazione alla fine del libro, Azzolini ricorda che la ricerca del profitto è perfettamente legittima: il profitto è sempre un valore importante per l’azienda e per quanti lavorano in essa. Tuttavia, tale valore deve essere subordinato ad altri superiori quali la continuità lavorativa degli operatori, che devono sostentare sé stessi e le loro famiglie, e i rapporti umani nei contesti aziendali (in fondo le stesse relazioni sono foriere di ricchezza anche materiale). Mi piace concludere con un passo del Vangelo di Luca (12,48), ascoltato da chi ha partecipato alla Santa Messa dello scorso Mercoledì 25 Ottobre e che campeggia nella prima pagina delle summenzionate Linee orientative: «A chiunque fu dato molto, molto sarà chiesto; a chi fu affidato molto, sarà richiesto molto di più».