Le follie del calciomercato, cosmesi per il Qatar
di Antonio Lovascio • Cosa c’entrano Neymar e Mmappé con gli equilibri nel Golfo? Perché si accosta lo scandalo calcistico dell’estate al terrorismo di matrice islamica ? Troppo facile rispondere. Inoltre il tempo è galantuomo: presto emergerà tutta la verità, si troveranno conferme ai numerosi interrogativi che ci siamo posti davanti ad operazioni di mercato da far impallidire chi, negli anni scorsi, aveva usato epiteti simili per le follie cinesi in Europa incoraggiate dallo stesso governo di Pechino o per gli acquisti di Gareth Bale e Paul Pogba da parte, rispettivamente, di Real Madrid e Manchester United. Allora pagati “solo” 100 milioni di euro che sembrano spiccioli rispetto all’affare che ha appena coinvolto il talento brasiliano: 222 milioni di clausola rescissoria sborsata dal Paris Saint Germain al Barcellona, ai quali ne vanno aggiunti circa 80 di tasse per il fisco spagnolo e 300 lordi per il contratto del calciatore. Se fate i conti, si arriva alla bella cifra di 600 milioni di euro per un giocatore.
Lo fa, ma non a tempo pieno: ha troppe cose a cui pensare. Quarto figlio maschio dell’emiro Hamad bin Khalifa al-Thani e secondogenito della moglie prediletta Mozah, “Tamim” ha preso il potere quando suo padre abdicò nel giugno 2013, diventando il più giovane leader in una regione abituata ai sovrani a vita e capo di un Fondo da 40 miliardi di euro che fa profitti pazzeschi grazie al gas naturale. Ha studiato all’accademia militare di Sandhurst in Inghilterra (la stessa del principe William) e ha dieci figli (da tre mogli). Oltre al trono della minuscola monarchia del Golfo, ha ereditato un impero economico in Occidente: l’ex protettorato britannico possiede infatti più beni a Londra della Regina Elisabetta (inclusi i grandi magazzini Harrods, il grattacielo Shard, parte di Canary Wharf e della Borsa) e, tra le altre cose, terreni in Costa Smeralda, la maison Valentino, una collezione d’arte che include Cézanne, Rothko, Warhol.
Come ha scritto il settimanale francese Le Point, “se il Kuwait avesse organizzato il Mondiale del ’90, credete che Saddam avrebbe osato invaderlo?”. Ora, con la grave crisi diplomatica che da tre mesi contrappone il Qatar all’Arabia Saudita, agli Emirati, al Bahrein, all’’Egitto (con le voci di un possibile golpe contro lo sceicco Tamim), le garanzie non sono mai abbastanza. Il sorriso scanzonato del campione brasiliano è la carta seducente messa in copertina per uscire dall’isolamento, per occultare l’altra faccia dell’Emirato, appunto accusato dai Paesi vicini di finanziare formazioni fondamentaliste in Siria e in Libia. E perciò sconta da giugno un embargo voluto soprattutto dall’Arabia Saudita sunnita per punire uno Stato considerato troppo amichevole con gli eterni rivali iraniani sciiti.
La storia è piena di invasioni di campo della politica nello sport più diffuso. Gli esempi abbondano: basterebbe ricordare i due Mondiali vinti con Mussolini e piegati alla propaganda di regime, o il Mondiale dei generali argentini coi desaparecidos nel sottosuolo di Buenos Aires servito come arma di distrazione di massa. Sono cambiati i mezzi, certo. Ma purtroppo non le cattive abitudini! L’etica è proprio finita nel pallone….