Il padre san Martino. Un vescovo che insegna a perdonare

Certo, sono parole e notizie d’un entusiasta ammiratore, Sulpicio Severo. Si dovrà fare un po’ si tara? Comunque il Martino, che il contemporaneo biografo ci tratteggia, merita la simpatia che la sensibilità popolare gli ha sempre riservato. Basta scorrere il finale della Vita che Sulpicio gli dedica, specialmente la sua Lettera in cui ragguaglia sulla morte e da cui voglio piluccare qualcosa di bello e di buono: «Che uomo indescrivibile! Non si lasciò vincere dalla fatica e non doveva essere sopraffatto dalla morte: non ebbe paura della morte e non rifiutò la vita. Febbricitante per diversi giorni, non desisteva dall’opera di Dio», espressione che Sulpicio spiega: «passando le notti in preghiera e nella veglia, costringeva le membra spossate a servire allo spirito». «Con occhi e mani sempre rivolti al cielo, non sottraeva il suo spirito alla preghiera. I preti lì presenti gli suggerivano di cambiar posizione. Rispose: “Lasciate, fratelli, lasciate che io guardi il cielo più che la terra, perché a Dio si volga lo spirito, sulla via che ormai è la sua”». E dopo aver scacciato per l’ultima volta il diavolo, da lui chiamato «bestia sanguinaria, rese lo spirito». E, del resto, il demonio ultimamente l’aveva sconfitto nel cercare con tutte le forze di portare pace.