di Stefano Liccioli • Il prossimo 15 settembre ricorre il ventiduesimo anniversario della morte di don Pino Puglisi, il sacerdote siciliano ucciso dalla mafia nel 1993 a Palermo, in quel quartiere di Brancaccio di cui era parroco. La lezione di don Pino, che ha combattuto strenuamente la criminalità organizzata, è quanto mai attuale. Ce lo ricordano le vicende di cronaca che ci raccontano che il fenomeno mafioso è lontano dall’essere sconfitto e che non è delimitabile solo in una regione d’Italia. Ce lo rammentano personaggi delle istituzioni e rappresentanti di associazioni impegnati in prima linea nella lotta contro la mafia. In questo senso Papa Francesco in più occasioni si è pronunciato contro la malavita e la corruzione, a volte anche in maniera fortemente icastica come quel «la corruzione puzza» detto lo scorso marzo durante un incontro con la popolazione a Scampia. In un’altra circostanza il Santo Padre aveva affermato chiaramente l’incompatibilità tra l’essere cristiani ed il darsi alle opere del male:«Non si può dirsi cristiani e violare la dignità delle persone; quanti appartengono alla comunità cristiana non possono programmare e consumare gesti di violenza contro gli altri e contro l’ambiente. I gesti esteriori di religiosità non accompagnati da vera e pubblica conversione non bastano per considerarsi in comunione con Cristo e con la sua Chiesa. I gesti esteriori di religiosità non accompagnati da vera e pubblica conversione non bastano per considerarsi in comunione con Cristo e con la sua Chiesa. I gesti esteriori di religiosità non bastano per accreditare come credenti quanti, con la cattiveria e l’arroganza tipica dei malavitosi, fanno dell’illegalità il loro stile di vita» (21 febbraio 2015). D’altra parte il pontefice se per un verso è stato molto esplicito nel dire che «coloro che nella loro vita hanno questa strada di male, i mafiosi, non sono in comunione con Dio: sono scomunicati», per un altro si è rivolto agli uomini ed alle donne della mafia con speranza, invitandoli alla conversione:«Per favore, cambiate vita, convertitevi, fermatevi, smettete di fare il male! E noi preghiamo per voi. Convertitevi, lo chiedo in ginocchio; è per il vostro bene. Questa vita che vivete adesso, non vi darà piacere, non vi darà gioia, non vi darà felicità. Il potere, il denaro che voi avete adesso da tanti affari sporchi, da tanti crimini mafiosi, è denaro insanguinato, è potere insanguinato, e non potrete portarlo nell’altra vita» (Incontro promosso dall’Associazione “Libera” – 21 marzo 2014).
In questo quadro può dirci molto la testimonianza di don Puglisi, beatificato nel maggio del 2013 per martirio in odium fidei. Ha scritto di lui Papa Francesco:«Educando i ragazzi secondo il Vangelo vissuto li sottraeva alla malavita e così questa ha cercato di sconfiggerlo uccidendolo. In realtà però è lui che ha vinto con Cristo risorto». Recentemente mi è capitato di ascoltare, durante una conferenza, Mons. Vincenzo Bertolone, arcivescovo di Catanzaro-Squillace e postulatore della causa di beatificazione don Pino:«L’uccisione da parte della mafia di don Puglisi ha segnato una cesura tra un prima ed un dopo. Un prima, in cui la consapevolezza della gravità del fenomeno mafioso non era arrivata nella coscienza di tutti i presbiteri palermitani, siciliani ed anche italiani, ed un dopo in cui, grazie a don Pino, si è capito che o si sta con Cristo o si sta con la mafia e si può stare dalla parte di Cristo, anche a rischio della vita». Il prelato ha sottolineato l’obbedienza di Puglisi al suo Vescovo. Un’obbedienza che l’ha portato, senza esitare, a svolgere il suo ministero in paesi e quartieri con alta densità mafiosa come Godrano e Brancaccio. Uomo mite ed armato di fede, don Pino ha sfidato i capi della mafia, con la sua azione educatrice ha fatto un’opera di bonifica morale, ha formato le coscienze. «Se non fosse stato una persona integra – ha osservato Bertolone – un credente coerente, non sarebbe stato credibile. Egli era la trasparenza personificata, la sua testimonianza era un antidoto al malaffare. Ci ha insegnato a non essere credenti in maniera astratta». La denuncia di Puglisi è diventata poi la denuncia di molti. Ha infine concluso l’Arcivescovo:«La Chiesa non è stata muta davanti al problema mafioso, anche se in alcuni casi non c’è stata un’azione pastorale incisiva a tutti i livelli. C’è ancora da fare: la trasparenza nella vita di un presbitero, di una parrocchia, di una diocesi sono il primo antidoto contro qualsiasi forma di corruzione e malavita».