di Francesco Romano • La specificità del diritto della Chiesa deve essere ricercata nel suo stesso mistero per poter precisare il contenuto oggettivo di ciò che in essa è giusto. Il decreto del Vaticano II sulla formazione sacerdotale, Optatam totius, n. 16 indica la linea guida metodologica per coglierne la specificità: “nell’esposizione del diritto canonico […] si tenga presente il mistero della Chiesa secondo la costituzione dogmatica De Ecclesia promulgata da questo Concilio”. In altre parole, devono essere individuati gli aspetti di questo mistero che sono a fondamento della sua giuridicità. Infatti, i diritti e i doveri devono essere accertabili nella loro determinazione esterna e visibile. Per esempio, si può parlare di diritto della persona alla comunione e di dovere giuridico di viverla, quindi di comunione come “bene giuridico”, ma è necessario anche determinare quali siano i diritti e i doveri comunionali concreti per accertare esternamente se siano stati adempiuti.
Il bene giuridico è l’oggetto dei rapporti di giustizia rispetto al quale sorgono diritti e doveri. Nell’ambito del diritto naturale, la vita, la buona fama, la libertà, la proprietà ecc. sono beni giuridici che ne costituiscono l’oggetto, ma ancora non emergono da essi gli aspetti oggettivi che sono lo specifico della comunità ecclesiale. Sul piano soprannaturale esistono beni giuridici che rientrano nel diritto della Chiesa e sono oggetto specificamente religioso della vita ecclesiale come gli atti di culto, i beni salvifici, la fede e, in modo più specifico, la parola di Dio e i sacramenti. Certamente si tratta di beni che, benché nel loro costitutivo trascendono il diritto perché non sono di natura giuridica, possiedono una dimensione di giustizia. Se i diritti e i doveri hanno per fondamento i beni salvifici della Chiesa ne consegue che la salvezza passa anche attraverso la via della giustizia, anche se solo in modo strumentale rispetto all’unicità dell’azione salvifica del Signore.
Tra i beni giuridici della Chiesa i sacramenti occupano un posto centrale dell’economia salvifica sotto l’aspetto della visibilità. Il diritto sacramentario è un insieme di norme che ha per oggetto ciò che è dovuto secondo giustizia agli uomini per la loro salvezza. In questo caso “ciò che è giusto” significa che appartiene a una persona come suo e che le deve essere dato. Il sacramento è una “res iusta” che appartiene al fedele e che questi può richiedere dinanzi alla Chiesa o al ministro sacro, ma la titolarità di questo diritto discende dal sacramento stesso in quanto capace di fondare “ciò che è giusto” e di produrre effetti di natura giuridica, cioè diritti e doveri. In questo senso con il battesimo si diventa “persona” nella Chiesa con i diritti e i doveri che ai cristiani sono propri (can. 96), con l’ordine sacro si riceve la potestà d’ordine insieme ai doveri corrispondenti (cann. 274 §1; 1008), l’azione ministeriale del chierico è diritto dei fedeli: pro utilitate hominum constituitur; con il matrimonio i diritti e i doveri matrimoniali come il darsi e accettarsi reciprocamente (can. 1057 §2), gli elementi essenziali, tra cui l’educazione della prole (can. 1055 §1), e le proprietà essenziali (can. 1056).
L’ordine giuridico, che per sua natura deve essere esterno e visibile, entra nel mistero della Chiesa, sacramento di salvezza, che contiene in sé una realtà invisibile, la Nuova Legge o lex gratiae. La realtà invisibile e dono gratuito, qual è la grazia, e la realtà esterna e visibile che contraddistingue il diritto, si conciliano perché quest’ultimo opera come canale esterno e visibile, strumento della grazia invisibile, come ciò che è dovuto secondo giustizia. I sacramenti sono canali di grazia, ma anche veri diritti o cose attribuiti agli uomini, cioè “res iustae” che hanno per fondamento non i meriti del ministro, ma l’efficacia ex opere operato, cioè i meriti di Cristo (S. Tommaso, Sum. Theol., III, q. 62, a. 5), presupposta la validità del segno e le disposizioni del soggetto. Il titolo giuridico che spetta a ogni fedele si fonda sulla volontà di Cristo di istituire i sacramenti propter homines.
Si deve a due grandi canonisti Mörsdorf ed Hervada l’aver intuito, il primo la giuridicità intrinseca della parola e del sacramento, e il secondo i sacramenti come diritto-oggetto della giustizia (cf J. P. Schouppe, la dimensione giuridica dei beni salvifici della parola di Dio e dei sacramenti, in AA.VV., il concetto di diritto canonico: storia e prospettive, a cura di C. J Errázuriz M. L. Navarro, Milano 2000, pp. 115-162). L’oggettiva efficacia dell’ex opere operato determina la titolarità permanente di diritti e doveri propri di tutti i fedeli che hanno come punto basilare il carattere indelebile del battesimo e dell’ordine sacro. Da qui ne deriva il rapporto tra costituzione sacramentale della Chiesa e del suo ordine giuridico fondamentale (cf. J. Hervada, Las raíces sacramentales del derecho canónico, in Vetera et nova. Cuestiones de Derecho Canónico y afines (1958-1991) Servicio de Publicaciones de la Universidad de Navarra, Pamplona 1991, pp. 885-892).
I rapporti di giustizia intraecclesiali fondano il loro vero valore salvifico nei sacramenti e nei beni spirituali della Chiesa in quanto segno e strumento oggettivo della salvezza operata dal Signore. Sono beni giuridici e beni salvifici, affidati dal Signore alla Chiesa per essere dispensati a tutti i destinatari della salvezza. La salvezza che opera il Signore attraverso i sacramenti segue anche la via della giustizia come realtà che è dovuta dai soggetti preposti a favore di chi ne ha i presupposti.
In conclusione, la specificità del diritto canonico rispetto ai vari diritti statuali va ricercata nel mysterium Ecclesiae, di cui i rapporti giuridici sono un aspetto degli elementi costitutivi. La legge della grazia per se stessa invisibile deve coniugarsi con il fenomeno giuridico della Chiesa, esterno e visibile. I sacramenti come segni sensibili e canali esterni della grazia operano come diritto, le “res iustae”, come ciò che è dovuto secondo giustizia, presupposta la pura gratuità di Dio e l’efficacia ex opere operato. E’ la sola volontà di Cristo di dispensare la salvezza a fondare il titolo giuridico del fedele di fronte al ministro di ricevere i beni spirituali, senza alcun loro merito circa l’efficacia. Sui meriti altrui, e nel caso specifico del Signore, nessuno ha un diritto da far valere. Il fedele può fondare il suo diritto sulla volontà dispensatrice del Signore affidata alla Chiesa e sull’accoglienza dei suoi meriti in un processo di sequela e di identificazione in Lui come alter Christus: “I fedeli hanno il diritto di ricevere dai sacri Pastori gli aiuti derivanti dai beni spirituali della Chiesa, soprattutto dalla Parola di Dio e dei sacramenti” (can. 213).