Homo Viator. Considerazioni sociologiche e antropologiche sul Cammino di Santiago
di Dario Chiapetti • Uno dei fenomeni culturali più significativi degli ultimi decenni è senza dubbio il Cammino di Santiago. Esso trae origine dal pellegrinaggio che conduce per svariati percorsi (dalla Francia, dal Portogallo ma anche dall’Italia e da altri paesi) alla tomba dell’apostolo Giacomo, fratello di Giovanni evangelista. Secondo la Legenda aurea le spoglie dell’Apostolo sono state ritrovate nel IX sec nella città spagnola, capoluogo della Galizia, che ha preso il nome dall’Apostolo stesso (Santiago) in riferimento al ‘campo di stelle’ (Compostela) che, sempre secondo la tradizione, indicavano il luogo in cui il corpo di san Giacomo si trovava da quando vi fu portato, dopo la morte dell’Apostolo avvenuta in Palestina (cf. At 12,1-2), e come segno del legame esistente tra l’Apostolo e la terra spagnola, luogo d’evangelizzazione (conclusa proprio in Galizia) dopo anni di guida della comunità di Gerusalemme.
Di questo pellegrinaggio – inferiore quanto a importanza solo a quello verso la tomba di Gesù e di Pietro – si trovano attestazioni già nel medioevo (proprio 800 anni fa fu san Francesco d’Assisi a compierlo); tali fonti lo presentano come gesto di natura prettamente ‘religiosa’: un cammino penitenziale verso il sepolcro di uno dei tre apostoli più vicini al Signore per scontare gravi peccati e così recuperare e approfondire l’esperienza di fede. Nel corso dei secoli la tradizione si è mantenuta conoscendo un impulso assolutamente rilevante a seguito delle parole di esortazione a compiere il pellegrinaggio pronunciate da Giovanni Paolo II durante la giornata mondiale della gioventù nell’89 svoltasi appunto nella città compostelana. Durante gli anni ’90 si passò così dai 3.000 pellegrini circa per anno a anche 150.000, rendendo il pellegrinaggio un fenomeno religioso rilevante quanto Lourdes e soprattutto un fenomeno sociale e culturale mondiale. Ci si accorse così dell’importanza storica del Cammino tanto da dichiarare il suo percorso patrimonio dell’umanità dell’UNESCO (’98), da dotarlo di servizi (segnaletica, strutture ricettive, ecc.) andando a rivitalizzare economicamente tanti abbandonati aggregati urbani per cui passava il tragitto. Una vera operazione economica che la Spagna ha potuto mettere in atto e di cui sta beneficiando se pensiamo alla fonte d’entrata che ogni pellegrino rappresenta durante il suo mese di permanenza spagnola.
Interessante è poi osservare alcuni aspetti sociologici tra cui l’estensione del raggio di provenienza dei pellegrini: non più solo spagnoli ma anche francesi, italiani, americani, giapponesi, ecc. L’età: dai giovani (comunque maggiorenni) agli adulti, fino ai non più adulti. Le motivazioni che spingono a camminare: desiderio di alternatività delle ferie (alcune persone compiono il pellegrinaggio a tratti suddividendolo in più anni), ricerca di amicizie, semplici avventure sentimentali, volontà di mettersi alla prova (psicologicamente o fisicamente), ricerca di equilibrio interiore, di un dio, di un senso della vita, infine, tra i motivi più prettamente religioso-cristiani, compiere un gesto di penitenza, di affidamento, di preghiera, di esperienza di fede. Tale complessità, da notare, è dovuta a una singolare capacità aggregante che una simile esperienza permette: pellegrini che per un mese camminano insieme condividendo tutta la giornata fin negli aspetti più intimi (ogni notte dormono in stanze dai 2 ai 100 posti letto, consumano i pasti insieme) trovandosi così catapultati in una dimensione assolutamente sui generis. Ciò permette, altro aspetto importante, una incredibile facilità di instaurazione di relazioni profonde in cui i grandi temi esistenziali vengono considerati, resi oggetto di riflessione contrariamente a quanto si vede comunemente accadere nella maggior parte delle relazioni quotidiane.
Tutta la varietà culturale si incontra, si confronta e non su un piano dialettico ma umano, favorito da quella condivisione di esperienza che porta a galla alcune verità antropologiche: la condivisione del vissuto apre l’uomo verso l’uomo e lo apre alla scoperta di sé come ‘essere relazionale’, nei confronti dell’uomo e di Dio. L’uomo è ‘essere in cammino’ dalle chiusure del proprio io verso la vastità del mondo e del suo significato. Il ‘sacrificio’ non è condizione esistentiva opponentesi alla natura dell’uomo e proveniente dalla ‘religione’ ma il naturale sforzo che l’uomo deve compiere per assecondare la costitutiva e inalienabile tendenza a decentrare se stesso e così, nell’incontro con l’Altro, a realizzarsi.
Questa la grandezza e la paradigmaticità del Cammino in relazione alla vita: ognuno cammina per il proprio motivo, ognuno compie il proprio cammino, ognuno secondo la propria concezione stessa di cammino, eppure tutti in cammino, tutti lungo lo stesso cammino, chi cosciente del perché, chi meno: “Ciascun confusamente un bene apprende nel qual si quieti l’animo e disira” (Dante, Purg. XVII).