di Alessandro Clemenzia • Perché un’immagina possa realizzare fino in fondo lo scopo per cui si ricorre ad essa, è importante che svolga una duplice funzione: prima di tutto, riuscire a toccare con immediatezza la sensibilità dell’interlocutore, fornendogli più elementi possibili di comprensione, senza dover ricorrere ad altri oggetti familiari all’esperienza; in secondo luogo, l’immagine deve far sì che, attraverso di lei, possa iniziare un processo conoscitivo che porti sempre più ad una chiarificazione della realtà complessa alla quale essa fa riferimento.
La “piramide capovolta” è una metafora che colpisce l’attenzione, e fa sì che l’interlocutore possa cogliere immediatamente il significato cui allude, e possa mettere in moto un processo interpretativo che porta ad una più approfondita conoscenza di ciò che l’immagine vuol significare: nel caso specifico, la Chiesa. Ciò che viene affermato è che «il vertice si trova al di sotto della base». Questa sorta di subordinazionismo, anche per coloro che non conoscono l’ecclesiologia piramidale e verticistica che ha dominato lungo i secoli, ha luogo unicamente all’interno della ministerialità; spiega il Papa: «Per questo coloro che esercitano l’autorità si chiamano “ministri”: perché, secondo il significato originario della parola, sono i più piccoli fra tutti».
La “piramide capovolta”, dunque, è propriamente un’immagine allusiva su un duplice livello: essa fa riferimento al fatto che la parte superiore della struttura è rappresentata in realtà dal lato maggiore della figura, vale a dire dal Popolo di Dio; in secondo luogo, essa esprime che le relazioni che innervano i soggetti, nelle diverse funzioni all’interno del Popolo di Dio, sono all’insegna del servizio, per cui «l’unica autorità è l’autorità del servizio, l’unico potere è il potere della croce».
Tale “piramide capovolta”, oltretutto, spiega la specificità della Chiesa, vale a dire la sinodalità. Si comprende così il contesto all’interno del quale quest’immagine è stata formulata: il discorso del Santo Padre pronunciato nella commemorazione del 50° anniversario dell’istituzione del Sinodo dei vescovi (lo scorso 17 ottobre).
Profonde sono le intuizioni sul piano ecclesiale contenute in questo discorso; se un tempo si poteva parlare di un’ecclesiologia implicita nella riflessione di Francesco, ora si può parlare di una vera e propria ecclesiologia esplicita. La Chiesa è qui presentata, in perfetta continuità con il contributo ecclesiale del Concilio Vaticano II, come Popolo di Dio, di cui fanno parte tutti i battezzati, i quali godono, in virtù dell’unzione, di una certa infallibilità in credendo. All’interno di quest’unico Popolo (scritto qui con la maiuscola in quanto è tale perché costituito da Dio, e rimane tale unicamente nel permanere in questa relazione) vi sono differenti funzioni, tutte all’insegna del servizio comune, che si esprime primariamente – scrive il Papa – nell’ascolto dell’altro.
Questa centralità del soggetto ecclesiale, che rovescia la struttura classica piramidale, offre una nuova geometria, dove la sinodalità viene considerata «la dimensione costitutiva della Chiesa». Tale affermazione è di grande portata e di profonde implicazioni ecclesiologiche, in quanto afferma che la sinodalità non è funzionale al raggiungimento di un particolare scopo; essa non è l’attuazione concreta di una precedente teorizzazione comunionale, ma appartiene alla natura stessa della Chiesa, tanto da offrire – continua il Santo Padre – «la cornice interpretativa più adeguata per comprendere lo stesso ministero gerarchico», dove i Vescovi sono all’interno del Popolo di Dio e a servizio della porzione che è loro affidata; il Successore di Pietro, facendo parte del collegio dei vescovi – proprio in quanto Vescovo di Roma – è il servus servorum Dei.
In quest’orizzonte di comprensione, il Sinodo dei vescovi vuole essere espressione di un dinamismo ecclesiale di comunione su diversi livelli: all’interno delle Chiese particolari; nelle Province e Regioni ecclesiastiche; nella Chiesa universale.
Nella “piramide capovolta”, alla luce della dimensione costitutivamente sinodale della Chiesa, anche «l’esercizio del primato petrino potrà ricevere maggiore luce»: il Papa, in quanto Vescovo di Roma (e non viceversa), è colui che «presiede nell’amore tutte le Chiese».
La sinodalità, conclude Francesco, ha qualcosa da offrire non solo a un funzionamento della Chiesa conforme alla sua natura, ma anche all’intera famiglia umana: dove il vero potere consiste nel mettersi a servizio dell’altro, per edificarlo nella giustizia e nella pace.
Si può comprendere, dunque, come la sinodalità non sia per l’ecclesiologia un oggetto materiale tra gli altri, che magari ricopre un particolare valore e un’attualità in un determinato contesto storico, ma sia l’oggetto formale dell’ecclesiologia, l’occhio prospettico alla luce del quale rileggere e ricomprendere il “già dato” ecclesiale.