Il “qui pro quo” fatale dei figli di Zebedeo

Vocazione_dei_figli_01adi Leonardo Salutati Il Vangelo di Marco, al capitolo 10, racconta del clamoroso frainteso di Giacomo e Giovanni, i figli di Zebedeo. I due appartenevano ad una ricca famiglia che possedeva un’impresa per la pesca sul lago di Tiberiade. Alla chiamata di Gesù, Giacomo e Giovanni, che stavano riassettando le reti, lasciarono il loro padre Zebedeo nella barca con i garzoni e andarono dietro a lui (Mc 1,20).

Da questi elementi si può intuire che la vita dei due fratelli era incentrata sull’economia e sulla politica, a differenza di Gesù che viveva della fiducia nel Padre e della fraternità con gli altri. La sua esistenza è radicalmente diversa da quella dei due fratelli, agli antipodi di una mentalità politica e finanziaria che preferisce affidarsi alla tecnica e sceglie come proprio idolo la ricchezza. Con ragione, pertanto, Gesù dice: «Voi non sapete quello che chiedete» (Mc 10,38): sono fuori tema, ragionano con un’altra mentalità.

Gli altri dieci si indignarono e a loro volta si dimostrarono incapaci di comprendere. Gesù allora, con pazienza, spiega nuovamente agli apostoli che né l’avere, né la sapienza del mondo, né il potere dei grandi costituiscono i pilastri del Regno di Dio, bensì la disponibilità verso tutti, la carità e il dono di sé agli altri. I discepoli, dunque, sono invitati a convertirsi e a cambiare il loro modo di pensare. Nel parlare loro Gesù utilizza un linguaggio simbolico, preso dalla Bibbia: un calice da bere, che realmente Gesù berrà, e un battesimo (una immersione) che Gesù farà con la crocifissione.

Giacomo e Giovanni e gli altri dieci sono però incapaci di cogliere il senso teologico e trascendente delle parole di Gesù. Proprio come dei fanciulli che, come ci insegna la pedagogia, per il tempo dell’infanzia afferrano solo il senso letterale di quanto viene loro detto. Gli apostoli pensano e vivono senza verticalità, in una dimensione terrena dove l’amore non è primario, incentrati su una legge (nomos) dell’economia (oikia-nomos = legge della famiglia) radicalmente diversa dalla legge della nuova famiglia (oikia) cristiana. Proprio come avviene nel sempre più invasivo mondo tecnologico e scientifico di oggi che non è in grado di cogliere la trascendenza della realtà umana (cf. il 3° capitolo della Laudato si’) semplicemente perché pensa l’uomo in modo matematico e meccanico. L’uomo così oggettivato non ha possibilità di maturare il senso della trascendenza, perché è spinto a privilegiare gli spazi di potere immediato al posto dei processi temporali originati dalla carità che, nel necessario tempo dell’attesa tra la semina e il frutto educano alla trascendenza e alla fiducia in Dio (cf. EG 223). Per l’umanesimo ateo di oggi solo i saperi dello spazio scientifico contano per vivere bene (come il cosmo presso i greci). Però né questi, né il denaro sono veramente vitali per l’essere umano creato ad immagine e somiglianza di Dio (Gen 1,26-27). Papa Francesco ci ricorda che il tempo è superiore allo spazio (EG 222).